Abruzzo, il tracollo della sinistra affonda Walter Così Di Pietro ha sconfitto il proprio alleato

Armato di antiberlusconismo forsennato e della furbizia del suo capo, l'Idv ha preso le redini dell'opposizione sfruttando le debolezze di Walter. L'alleanza serve a soddisfare l'anima forcaiola degli ex comunisti: il segretario la sfrutta in chiave antidalemiana

Abruzzo, il tracollo della sinistra affonda Walter 
Così Di Pietro ha sconfitto il proprio alleato

E così la profezia si è avverata: i pieni riempiono i vuoti e spesso li riempiono con materiale tossico. Di Pietro sta divorando dall’interno il Pd di Veltroni, Abruzzo docet, e ne occupa lo spazio. Il suo materiale tossico è una sorta di estremismo di tipo leghista della prima ora unito all’antiberlusconismo psichiatrico, forsennato, emotivo, invettivo e dunque di grande presa comunicativa anche se l’ideologia del movimento è una sola: manette per tutti. Lasciamo stare per una volta il nostro sventurato (per sua colpa) amico Walter Veltroni che, scarso in tattica, perde anche nella strategia. Se la dovrà vedere con i suoi e non sarà un bel meeting. Ma parliamo proprio di lui, il politico Di Pietro. Mi diceva Enzo Bianco, uomo di sinistra di origine repubblicana ex sindaco di Catania ed ex presidente del Copaco, che con Di Pietro è quasi dovuto venire alle mani in diverse occasioni a causa del carattere aggressivo, micidiale e distruttivo di Di Pietro che procede come una macchina da guerra.
E mi diceva Gian Antonio Stella, il coautore del famoso libro La Casta, il quale ha avuto Di Pietro come ospite in una lunga intervista radiofonica su Radio Tre, che Di Pietro è diventato un comunicatore formidabile, micidiale, di grandissima penetrazione. Quando Stella lo invitava a moderare i toni mentre Di Pietro inveiva contro Berlusconi, l'ex Pm di Mani Pulite ha preso il microfono e con tono sussurrato e sillabando le parole ha detto «Berlusconi corruttore». L’effetto comunicativo e mediatico era fortissimo e così sembrano tutte le attività politiche di questo outsider della politica che ha stretto alleanza con il gruppo di Micromega, con la fascia più aggressiva e invelenita dell’antiberlusconismo, quella fascia che, a detta di Enzo Bianco e anche dello stesso Veltroni, è poi anche una delle cause accessorie del successo berlusconiano, dal momento che l’antiberlusconismo se sazia i palati facili di una sinistra allo sbando, compatta dall’altra parte tutti coloro che vedono nel presidente del Consiglio colui che soddisfa una larga parte di desideri antigiustizialisti e modernisti della borghesia italiana, ammesso che ne esista ancora una.
Di Pietro ha inventato una nuova «destra di sinistra», sganciata da ideologie e piena di tutti quei sapori forti che sono oggi richiesti da quella parte dell'elettorato che non ha ben capito tutto quel che è successo, ma che è animata da un desiderio ventrale di farla pagare a qualcuno: alimenta l’idea che esista in Italia un’unica «casta buona» e che quella sia la magistratura, specialmente nelle sue forme più aggressive e discutibili. Man mano che Veltroni ritirava il suo partito da un agone rissoso per dar vita a un partito di confronto democratico, lo spazio abbandonato veniva occupato dal dipietrismo vociante, «descamisado», accusatorio, che sottintende costantemente l’idea che il potere vada processato. L’uomo io l’ho conosciuto, e in un certo senso amato, ai tempi di Mani Pulite, quando il giovane Pm proletario, il poliziotto venuto dal nulla, metteva alla frusta l’intera classe politica. Anche allora il suo italiano sgangherato e sgrammaticato, le sue finali inceppate, i suoi fonemi incerti, se invitavano da una parte alle imitazioni dei comici, dall'altra suggerivano quegli elementi che poi hanno costituito la sua fortuna politica, una sincerità popolaresca da Bertoldo moderno che però è anche Saint Just, l’angelo sterminatore della Rivoluzione francese. La sua fisionomia contadina, la sua intera complessione e tutto il suo apparato comunicativo si sono andati rafforzando e perfezionando, sottolineando proprio quei caratteri che apparentemente andrebbero corretti. Di Pietro non sorride mai, è accigliato, è infuriato, è pieno di scherno, esprime voglia di soddisfare il desiderio di masse di sinistra e spesso anche di destra disorientate perché non vedono alcuno sbocco politico che sappia soddisfare un desiderio di rivincita e di vendetta che nel Paese profondo è cresciuto in questi anni e che non è più collocabile né a destra né a sinistra. Ma se a destra il dipietrismo incontrò l’ostacolo di una organizzazione e di un apparato comunicativo vincenti, a sinistra incontra il burro e penetra a lama di coltello imponendosi come stile, come forza vagamente mussoliniana: non dimentichiamo che Benito Mussolini più volte tuonò contro la «casta» dei parlamentari nullafacenti, contro una borghesia corrotta e una democrazia incapace di dare risposte alle richieste emotive profonde della frustrazione popolare. Di Pietro è la risposta attuale a un malessere che non si sa esprimere in maniera ideale, che non ha strutture di riferimento, salvo quelle di un peronismo selvaggio, un mussolinismo fuori tempo e un poujadismo piccolo borghese che parla alle masse tradite dai politici. È questo ciò che Veltroni non ha capito quando non ha soltanto sposato Di Pietro, ma quando, dopo un faticoso divorzio, ha voluto sposarlo di nuovo mettendo la testa nel cappio. Ora il virus Di Pietro si riproduce e si clona nel vecchio partito veltroniano divorando tutto ciò che non ha origine comunista e piazzando uomini, slogan, stili ovunque e combattendo con armi che Veltroni non ha e il Pd nel suo complesso non vuole neanche avere.

Dunque il fenomeno è in ascesa e dobbiamo prepararci a vederne lo sviluppo nei prossimi anni, a meno che destra e sinistra non impareranno a parlare a quella fascia di italiani insoddisfatti, una lingua nuova e alternativa a quella del «che ciazzecca», raggiungendo risultati che possano competere col dipietrismo e sconfiggerlo. Ma questo è un traguardo ancora incerto e lontano.

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