Abu Mazen a denti stretti affida l’Anp ad Hamas

Fatah sarebbe pronta a entrare nell’esecutivo ma aumentano i dissidi con gli integralisti

Abu Mazen a denti stretti affida l’Anp ad Hamas

Gian Micalessin

È stato un sì a denti stretti, ma alla fine il sospirato pezzo di carta è arrivato. Le firma del presidente palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) in calce alla lettera che affida al candidato di Hamas Ismail Haniyeh il compito di formare il nuovo governo non è stata una formalità. Quella lettera è arrivata due giorni dopo la designazione di Haniyeh da parte di Hamas e 24 ore dopo il lungo e complesso vertice di lunedì sera. L’ostentato silenzio esibito da Abbas al termine di quell’incontro era un evidente segnale di difficoltà. In due ore di colloquio il presidente non è riuscito a strappare al candidato di Hamas una sola garanzia sull’impegno del nuovo governo a rispettare gli accordi siglati in passato dall’Autorità Nazionale Palestinese. Senza quelle garanzie Abbas non può né affrontare eventuali trattative con Israele, né spingere la sua Fatah a entrare nell’esecutivo. «Ci sono responsabilità da cui l’Autorità Palestinese non può esimersi senza perdere la sua legittimità internazionale, se pretendiamo di essere uno Stato senza rispettare i principi internazionali il mondo si rivolterà contro di noi e i fratelli di Hamas lo sanno», ha detto il presidente evidenziando le difficoltà emerse nei colloqui. Dopo quell’incontro con Haniyeh, Abbas ha dunque trasferito tutte le sue energie nella preparazione della lettera d’incarico. Ricordando a ogni passo del mandato il dovere di rispettare tutti gli impegni assunti dall’Anp, il presidente palestinese vincola formalmente il candidato premier Hanyeh e il futuro governo ai loro vincoli istituzionali. In caso di mancato rispetto delle condizioni Abbas potrà infatti rivendicare il diritto di sciogliere l’esecutivo.
L’altro problema aperto riguarda l’entrata di Fatah nell’esecutivo palestinese. «Nessuno ha ancora deciso di restare fuori e la rappresentanza di Fatah al parlamento è pronta al dialogo, non appena verrà raggiunto un accordo Fatah sarà pronta a partecipare al governo», aveva detto Abbas prima dell’incontro di lunedì con Haniyeh. Le poche garanzie offerte da Haniyeh, le condizioni di Hamas e le resistenze esercitate da settori della stessa Fatah hanno però precluso al presidente palestinese qualsiasi spazio negoziale.
In verità i rapporti tra Fatah e Hamas sono ogni giorno più tesi. Ieri Ibrahim Khreisheh, segretario generale del parlamento uscente è stato letteralmente buttato fuori dal suo ufficio da Aziz Dweik, il deputato di Hamas eletto presidente del Consiglio legislativo nella seduta inaugurale di sabato scorso. Secondo Khreisheh, il nuovo presidente, un altro deputato di Hamas e dieci guardaspalle sono piombati nel suo ufficio costringendolo ad andarsene senza dargli neppure il tempo di recuperare documenti ed effetti personali. Subito dopo nell’ufficio di Khreisheh s’è insediato il deputato di Hamas Mahmud Al-Ramahi, eletto segretario generale sabato scorso.
Un altro eloquente segnale delle difficoltà emerse durante il faccia a faccia tra il presidente e il futuro premier arriva dal Cairo. Il generale Omar Suleiman, capo dei servizi segreti e fedele esecutore delle politiche presidenziali, ha risposto con un secco niet alle richieste della dirigenza di Hamas di ottenere udienza dal presidente Hosni Mubarak. Quel no è un chiaro segnale della stizza provocata dalle poco concilianti posizioni di Hamas. Una stizza amplificata dalla consapevolezza di aver ben poco da offrire al segretario di Stato americano Condoleezza Rice arrivato ieri al Cairo per chiedere all’alleato un maggiore impegno nel controllare le mosse di Hamas. «Ora Hamas deve scegliere tra politica e terrorismo», ha ammonito ieri la Rice.
La dirigenza fondamentalista, consapevole di essere al centro dell’attenzione mondiale, alza invece la posta rendendo più spudorati i suoi flirt con il nemico numero uno di Israele e Stati Uniti. Durante il suo secondo giorno di incontri iraniani Khaled Meshaal, numero uno dell’ufficio politico di Hamas in esilio, ha bollato come «una perdita di tempo» qualsiasi nuova trattativa con Israele fino al completo ritiro dai territori occupati. Rivolgendosi a Manouchehr Mottaki, ministro degli Esteri iraniano, Meshaal non ha esitato a evocare le peggiori paure di Israele, Stati Uniti ed Europa. «I nostri fratelli iraniani giocheranno un ruolo sempre più importante nelle posizioni assunte dall’Autorità Palestinese e dalla nostra nazione di fronte alle molte sfide che ci attendono».


Nonostante l’intransigenza di Hamas e le dure rappresaglie economiche approvate dal governo israeliano, che domenica ha bloccato le rimesse fiscali dovute all’Anp, il premier ad interim Ehud Olmert ritiene esista ancora una possibilità di avviare nuovi negoziati di pace. «La speranza non è ancora svanita - ha detto ieri Olmert – e io continuo a ritenermi responsabile sia della battaglia contro Hamas sia dell’impegno a raggiungere, qualora possibile, un accordo di pace».

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