Luciano Gulli
Una conferenza di pace internazionale. Unaltra. Lennesima. Non si può dire che manchi di ottimismo e di visione, il visionario presidente palestinese Abu Mazen. La proposta cala dallalto, da Oslo, dove Abu Abbas è in tour. E se ci creda davvero, a un nuovo tavolo di trattative con Israele, o sia soltanto un pretesto per riaffermare il suo ruolo e quello della sua Olp, oscurando politicamente i rivali di Hamas, è argomento sul quale molto si discuterà nei prossimi giorni, posto che liniziale scetticismo di Israele non si tramuti presto in aperto disincanto.
La conferenza, dice Abu Mazen (e lo dice in un momento in cui il 75 per cento dei palestinesi, stando a un sondaggio di cui diremo, si dichiara a favore dellapertura di negoziati con Israele) dovrebbe essere patrocinata preferibilmente dalla Società del Quartetto per il Medio Oriente: vale a dire dagli americani, dalla Russia, dalla Ue e dallOnu. Abu Mazen pensa a trattative dirette, sulla base delle risoluzioni dellOnu e degli accordi firmati dallOlp: quegli stessi accordi cui rilutta ad acconciarsi la dirigenza di Hamas. Nulla di nuovo, dunque. Solo la riedizione, rispolverata, di vecchie, fruste carte sommerse dalle pietre, dalle pallottole e dai kamikaze della seconda Intifada.
In Israele, la proposta del vecchio Abu Abbas ha fatto lo stesso effetto di un uccello di palude che si posi sul capo di un coccodrillo in piena siesta. Giusto un occhio socchiuso per valutare le intenzioni dellintruso, e poi di nuovo a dormire. Questo per dire che dalle posizioni di sempre, anche il governo di Ehud Olmert non ha alcuna intenzione di scostarsi. Per riassumere: sino a quando lAutorità palestinese sarà controllata da Hamas, non ci potrà essere trattativa di sorta. E le condizioni perché di tavolo negoziale si possa riprendere a parlare son sempre le stesse. Primo: accettare lesistenza di Israele. Secondo: riconoscere gli accordi siglati in passato dallAnp con lo Stato ebraico. Terzo: rinuncia alla lotta armata e al terrorismo. In caso contrario, Israele procederà unilateralmente nella definizione dei confini definitivi dello Stato lungo il sentiero tracciato da Ariel Sharon e inaugurato lestate scorsa con il ritiro da Gaza.
Rilanciare la proposta di una trattativa diretta fra le parti da Oslo (per chi ricorda che la Norvegia fu protagonista dei primi accordi di pace fra Israele e i palestinesi, nel 1993) non è senza significato psicologico. Ma i simbolismi, nel clima incandescente che oppone la vecchia guardia dellOlp ai giovani leoni di Hamas, hanno laria di funzionare poco.
«Quel che Abu Mazen sta cercando di fare - ha detto allagenzia Apcom Issam Nassar, dellIstituto per gli studi palestinesi di Ramallah - è impedire che Israele completi il suo piano unilaterale, con il sostegno degli Stati Uniti, lasciando i palestinesi nellangolo. Ovvio che Abu Mazen ritenga questo progetto una sventura per il popolo palestinese. Di qui il tentativo di trascinare Ehud Olmert a un tavolo di trattative sulla base della Road Map», lasciando quelli di Hamas con il cerino acceso in mano.
Non cè dubbio che la posizione e le aspirazioni del presidente palestinese sono ampiamente condivise dalla stragrande maggioranza della popolazione palestinese, che mai prima dora si era trovato così isolata e così minacciata nella sua stessa sopravvivenza dalla chiusura dei finanziamenti finora garantiti dalla comunità internazionale. Una conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, viene da un sondaggio effettuato da un istituto indipendente palestinese. Tre palestinesi su quattro, dicono i dati della rilevazione condotta su un campione di 1.270 persone a Gaza e in Cisgiordania, chiedono che il governo guidato da Hamas apra a un negoziato con Israele.
Piuttosto che appianarsi, i contrasti tra la leadership dellOlp e quella di Hamas sembrano dunque destinati ad acuirsi. Di qualche giorno fa è lavvertimento di Abu Mazen («Posso sciogliere il governo in qualsiasi momento. Il mio ruolo me ne dà lautorità e gli strumenti»). Ora la proposta di trattative (lanciata senza consultare il governo di Ismail Haniyeh, anzi scavalcandolo). E sullo sfondo, la decisione di Al Fatah di far scendere in pista una milizia di 2.000 uomini da reclutarsi a breve. Obiettivo dichiarato: proteggere la dirigenza di Al Fatah da possibili attacchi delle forze speciali israeliane.
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