Abu Omar, Mancini indica ai Pm un’altra pista

Stefano Zurlo

da Milano

Collabora ma non confessa. Offre una sponda all’inchiesta dei Pm Ferdinando Pomarici e Armando Spataro, ma per quel che lo riguarda continua a chiamarsi fuori dal sequestro Abu Omar. «Io - ripete ai magistrati il numero due del Sismi Marco Mancini - non ho mai rapito nessuno. Queste cose si fanno in Sudamerica. Io sono solo un servitore dello Stato». E però qualcosa, qualcosa di molto importante lo 007 deve averlo detto. In Procura sono molto soddisfatti, le dieci ore di interrogatorio, spalmate fra venerdì e sabato, hanno dato molti elementi ai pubblici ministeri.
Impossibile saperne di più. Gli apparati investigativi sono chiusi a riccio, i verbali sono stati secretati, accuse e difesa la pensano allo stesso modo: il silenzio è d’oro. Almeno in questa fase delicatissima. Mancini si è inerpicato su un sentiero strettissimo, ha offerto una chiave interpretativa di tutto l’intrigo, con ogni probabilità ha chiamato in causa pezzi importanti dello Stato. «Al momento - dicono i suoi avvocati Luca Lauri e Luigi Panella - non sono previsti altri interrogatori». Subito dopo aggiungono: «Mancini ha offerto elementi decisivi per dimostrare la propria innocenza».
Come incrociare queste due frasi?
L’ipotesi più semplice è che la Procura si sia presa i giorni necessari per verificare la pista indicata da Mancini e per trarre poi le necessarie conclusioni.
Non bisogna dimenticare che dalle intercettazioni, oggetto di aspra contesa fra Pm e difensori, emerge una realtà contraddittoria: nei dialoghi con il generale Gustavo Pignero, all’epoca dei fatti suo diretto superiore, Mancini sembra sì aver saputo dell’operazione ideata dalla Cia e portata a termine a Milano, in via Guerzoni, la mattina del 17 febbraio 2003, ma rivendica con forza la propria estraneità a quella che considerava «un’attività illegale». E allora? Dove ha puntato il dito l’alto ufficiale?
Dalle pochissime indiscrezioni filtrate da Palazzo di giustizia par di capire che presto ci saranno sviluppi e clamorosi: arresti e perquisizioni, ma finora Mancini si sarebbe tenuto alla larga dal piano della politica. Niente nomi e niente rivelazioni in quella direzione.
Nei prossimi giorni ne sapremo di più, per ora, occorre registrare la modesta contabilità quotidiana. Mancini resta in cella: il suo sogno di vedere la finale dei mondiali a casa è svanito dopo l’interrogatorio di sabato. Oggi, nel parlatorio di San Vittore, Mancini incontrerà Francesco Cossiga.
Il senatore a vita ha dichiarato una sorta di guerra personale ai Pm di Milano e fa di tutto per ostentare la sua ostilità all’inchiesta. Ieri ha fatto visita al numero uno del Sismi Nicolò Pollari, la cui posizione resta in bilico. Oggi Cossiga si trasferirà a Milano. Andrà a San Vittore e poi in Procura dove depositerà una denuncia contro Pomarici e Spataro. Cossiga ipotizza violazioni delle leggi sulla tutela del segreto di Stato e per altri reati contro la personalità interna e internazionale dello Stato.
Domani, invece, verrà ascoltato l’altro imputato eccellente: il generale Pignero, ai domiciliari per le cattive condizioni di salute. E presto dovrebbero essere sentiti altri ufficiali e sottufficiali coinvolti nell’indagine.

Fra questi il maresciallo Giuseppe Ciorra, funzionario del Sismi di Milano e braccio destro di Mancini. Nei giorni precedenti il rapimento Ciorra pernottò al Principe di Savoia di Milano, lo stesso albergo dove alloggiava una squadra di sei elementi della Cia.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica