di Franco Quaglieni*
Proviamo fastidio nel vedere accomunato il nome di Mario Pannunzio a gente che non ha titolo per richiamarsi in nessun modo a lui perché ha sempre scelto strade totalmente lontane dal liberalismo di Pannunzio. Alludiamo ad alcuni improvvisatori che cercarono di costituire un comitato nazionale per il centenario di Pannunzio che sarebbe stato lautamente finanziato dallo Stato, se non ci fosse stato il nostro intervento nel giugno scorso, ma soprattutto ci riferiamo alla sedicente «Società Pannunzio» che ha istanti di notorietà solo quando chiede il deferimento all’Ordine dei giornalisti prima di Feltri e ora di Sallusti e Porro. Tra il resto, nel sito di «Critica liberale», di cui la Società è una costola, appare persino il logo del «Mondo di Pannunzio» messo in pagina del tutto abusivamente.
Se leggiamo i nomi che compongono la sedicente società Pannunzio per la libertà di stampa abbiamo chiara l’idea che Enzo Marzo, Adele Cambria (che diresse Lotta Continua e scrive sull’Unità), Tullio De Mauro (ex ministro della Pubblica istruzione di area ex Pci), il magistrato giacobino Zagrebelsky, il filosofo ateo-laicista Giorello, il giornalista di matrice comunista Emiliani hanno storie che non vogliamo in questa sede mettere in discussione, ma che sono del tutto estranee od opposte al filone pannunziano. Molti di costoro e dei loro amici considerarono per decine d’anni Pannunzio un borghese snob, una mosca cocchiera insignificante rispetto alla forza preponderante delle masse raccolte attorno alla falce e martello. E questi signori, in effetti, sono a metà strada tra il marxismo originario ed un giacobinismo arrabbiato che è l’esatto opposto del liberalismo.
Le ceneri di Pannunzio, alla sua morte avvenuta nel 1968, si sono disperse al vento. Frammenti di quelle ceneri si ritrovano qua e là: in Pannella (il più coerente e disinteressato in certe battaglie che furono del Mondo), in Scalfari (che con un suo libro fortunato - quasi un’eterogenesi dei fini - ha contribuito a far conoscere il nome di Pannunzio più di quanto sia riuscito a servirsene per dimostrare che Repubblica è figlia del Mondo), nel Giornale di Montanelli dove molti amici del Mondo trovarono accoglienza. Accenti pannunziani si possono ritrovare in Piero Ostellino e Dino Cofrancesco, ad esempio, ma sicuramente la «Società Pannunzio», per essere coerente con le sue idee, dovrebbe cambiare nome perché l’attuale gli è del tutto estraneo.
Tra il resto, Pannunzio era contrario all’ordine dei giornalisti così com’era nato nel 1963 sull’onda della corporazione dei giornalisti fascisti e Pannella coerentemente promosse un referendum per la sua soppressione, seguendo quella linea. Appare quindi del tutto fuori luogo anche il richiamarsi all’ordine, invocando la radiazione di Sallusti e Porro, in nome di Pannunzio.
Il «Centro Pannunzio» di Torino, fondato nel lontano 1968 da Arrigo Olivetti (che fu editore del settimanale Il Mondo), ritiene indispensabile prendere posizione nei confronti della «Società Pannunzio», costituita neppure due anni fa, anche allo scopo di non essere confuso con chi rappresenta l’esatto opposto del garantismo di cui il centro torinese si è fatto costante paladino, a difesa di quelle «garanzie della libertà» di cui scriveva Pannunzio.
*Direttore generale del centro Pannunzio
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