Roma - «Ancora una volta, il solito circuito mediatico- giudiziario fondato su frammenti di atti d’indagine di cui non vi è neppure certezza di veridicità, con una continua e sistematica violazione del segreto istruttorio, riempie le pagine dei giornali sostenendo falsità e imprecisioni che saranno puntualmente smentite dalla realtà dei fatti». È un Denis Verdini furioso quello che detta alle agenzie la sua stizza per l’ennesima fuga di notizie proveniente da ambienti investigativi, in questo caso vicini alla procura dell’Aquila, impegnata nelle indagini sulla ricostruzione post-sisma.
Una fuga di notizie che, con grande risalto mediatico, ha maggiormente invischiato il coordinatore nazionale del Pdl anche nell’inchiesta sugli appalti del dopo terremoto «solo per il reato di abuso d’ufficio», precisa una nota del Pdl. Verdini avrebbe la colpa di aver caldeggiato l’«amico» Riccardo Fusi nell’ottenimento di appalti in Abruzzo con il consorzio «Federico II». In particolare, stando a un’informativa del Ros, in una riunione romana alla quale era presente anche Gianni Letta. Ed è proprio all’aquilano sottosegretario alla presidenza del Consiglio che i magistrati abruzzesi sembrerebbero puntare, ipotizzando per Verdini,Fusi e l’altro imprenditore Ettore Barattelli il reato di abuso d’ufficio in concorso. Addebito che se per gli ultimi due è difficilmente comprensibile non trattandosi di pubblici ufficiali, lo è anche per Verdini, stando alla sua difesa. Che insiste sul punto: in questo caso, e per le contestazioni specifiche, lo status di parlamentare di Verdini non lo equiparerebbe al pubblico ufficiale o all’incaricato di pubblico servizio, fatto che sgonfierebbe l’applicabilità al politico del reato ipotizzato.
Così come i legali del coordinatore del Pdl fanno spallucce e si stupiscono anche per come la posizione nell’inchiesta del loro assistito sia potuta lievitare così tanto. L’unico ruolo di Verdini, stando a quanto emerge dalle intercettazioni, sottolineano i legali, sarebbe quello di aver introdotto Fusi all’incontro con Letta, quello da cui, secondo la procura dell’Aquila, sarebbero poi derivate le commesse per il consorzio, per decine di milioni di euro di valore.
Qualcosa, in effetti, non torna. I lavori appaltati al consorzio «Federico II» e contestati nelle carte della procura, non sono stati assegnati ovviamente da Verdini, e nemmeno da Letta. Gli appaltanti sono il dipartimento di Protezione civile, il provveditorato alle Opere pubbliche di Lazio e Abruzzo, l’istituto bancario di cui Barattelli era membro del cda, pure il comune dell’Aquila. Ma non risulta che per esempio Massimo Cialente, il sindaco Pd della città ferita dal sisma, sia indagato per queste gare.
Altro punto che «non torna» secondo il collegio difensivo di Verdini è il riferimento, nelle contestazioni contenute nell’avviso di garanzia inviato al coordinatore, ad appalti «solo per offerta più vantaggiosa». Ossia che, senza dubbio, hanno previsto un esborso minore per l’erario, e dunque un vantaggio per lo Stato. Tra le accuse considerate anomale, anche i lavori assegnati al consorzio dalla Cassa di Risparmio dell’Aquila, quella nel cui cda sedeva Baratelli. Cantiere per due edifici, assegnato con contratto privato, ma che in parte prevedeva soldi statali (un palazzo era vincolato dalla sovrintendenza). Ma quei lavori non sono mai stati eseguiti. Tanto che, ad agosto scorso, il contratto è stato risolto proprio per il mancato avanzamento. Intanto la fuga di notizie che fa sbraitare Verdini, fa strepitare, almeno a parole, anche il palazzo di giustizia del capoluogo abruzzese. Ieri il procuratore capo dell’Aquila, Alfredo Rossini, ha tentato così di tappare i buchi dell’inchiesta, scaricando le responsabilità sulla polizia giudiziaria, ossia, nel caso di specie, sul Ros dei carabinieri: «La stampa ha un ruolo molto importante, l’ho ribadito più volte - il commento di Rossini - ma sembra però che ultimamente escano troppe indiscrezioni, spesso non veritiere che producono effetti che non giovano a nessuno: le indiscrezioni comunque non escono dalla Procura aquilana». I pubblici ministeri abruzzesi hanno fissato per lunedì prossimo l’interrogatorio dei tre indagati. Ma Verdini, a quanto si apprende, avrebbe già concordato con i suoi legali sulla decisione di non presentarsi di fronte ai magistrati dell’Aquila. Che, da lui, oltre a chiarire il modo in cui si sarebbe speso per agevolare «l’amico» Fusi sul fronte appalti, vorrebbero capire come mai concesse, con la sua banca fiorentina, un prestito milionario al gruppo di Fusi senza adeguate garanzie.
L’ipotesi del Ros, infatti, è che il rapporto tra Verdini e Fusi non fosse solo di consuetudine amicale, ma di forti legami d’affari. Verdini, come ha già fatto nel precedente interrogatorio a Firenze sui suoi rapporti con l’imprenditore, smentisce questa lettura. E la procura dell’Aquila vuole capirci di più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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