Acqua, un fiume da 3 miliardi e allo Stato restano poche gocce

Per sfruttare le fonti, le aziende pagano 0,005 centesimi al litro e ricaricano l’8.500%. E 14 regioni incassano zero

Alle aziende costa molto di più la confezione: la plastica, la colla per l’etichetta e l’etichetta stessa. Il bene effettivamente messo in vendita, l’acqua, è per i giganti del settore quasi gratis. La minerale in bottiglia in Italia genera un business da tre miliardi di euro l’anno. Un giro di soldi basato sullo sfruttamento di una risorsa pubblica, ma di cui allo Stato vanno solo le briciole. Anzi, le gocce.
L’acqua del sindaco, quella che sgorga dai rubinetti, costa dai 60 agli 80 centesimi al metro cubo. L’acqua minerale la paghiamo invece 40 centesimi in bottiglie da un litro e mezzo - solo al supermercato, perché in un bar il prezzo della stessa bottiglia può lievitare quasi senza limiti. Più di 400 volte il prezzo dell’acqua di rubinetto.
Il consumo di acqua in bottiglia, benché criticato da più parti come uno spreco inutile di denaro, causa di inquinamento e di alti costi per lo smaltimento della mastodontica quantità di plastica utilizzata per le bottiglie, è sempre in crescita. In Italia il mercato c’è perché è la gente a preferire la bottiglia: da gennaio a dicembre un italiano beve in media 188 litri d’acqua imbottigliata, distribuiti da 177 imprese in 287 marchi diversi. Il tutto per un giro d’affari di 11 miliardi di litri l’anno. La domanda è un’altra: possibile che lo Stato, di un business basato interamente su di una sua proprietà, ottenga in cambio quasi nulla?
Le acque sotterranee fanno parte del demanio pubblico, ma 14 Regioni su 20 non ricevono un solo euro per l’acqua imbottigliata sui loro territori, fatta eccezione per i canoni di sfruttamento, applicati su ogni ettaro di terreno sul quale concretamente avviene l’estrazione. Nel novembre del 2006 la Conferenza Stato-Regioni ha invitato le regioni «generose» a uniformare la propria legislazione a quelle di Piemonte, Lombardia, Veneto, Umbria, Basilicata e Sicilia, dove viene effettivamente chiesta una, seppur modesta, tassa di imbottigliamento. Anche se con differenze importanti: oggi le tariffe variano tra lo 0,0003 euro per litro della Basilicata e lo 0,003 euro per litro del Veneto, la regione più «costosa», che ha ridefinito il suo prezzario nel 2007. A metà strada si collocano la Lombardia 0,0005 e il Piemonte 0,0007. Ma il Veneto, che da solo incassa il 70 per cento dei canoni di concessione riscossi in tutta Italia, raccoglie comunque poco: il bilancio regionale prevede per quest’anno introiti per 6.300.000 euro. Anche in questo caso quindi la differenza tra il prezzo pagato dal consumatore finale e incasso per l’erario è incredibile: un rapporto di 11mila a uno.


Ma allora, cosa paghiamo alla cassa? Soprattutto la bottiglia, poi il trasporto della stessa dallo stabilimento allo scaffale e infine la pubblicità, una voce di spesa di grande valore per il settore (quasi 400 milioni di euro l’anno). Secondo Federacqua, l’organizzazione delle industrie del settore, i profitti lordi sono però bassi, in media il 4 per cento del fatturato.

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