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"Adagio", la Roma vista da Sollima con un Favino irriconoscibile

Il regista pubblica il terzo capitolo della sua trilogia sulla Capitale

"Adagio", la Roma vista da Sollima con un Favino irriconoscibile

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È una Roma che scotta, letteralmente, con le fiamme all'orizzonte, dove a tratti manca la luce e dove la nuova criminalità comanda senza rispetto neanche per quella vecchia.

Adagio, da giovedì nelle sale, chiude un cerchio neanche tanto immaginario del suo regista, Stefano Sollima che, dopo A.C.A.B.: All Cops Are Bastards e Suburra, prima delle fortunate avventure all'estero con Soldado e Without Remorse (Senza Rimorso), firma ora il capitolo finale della sua trilogia sulla Capitale: «Roma è cambiata, com'è capitato anche a me, e l'ho osservata con occhi diversi tornando sulla scena del crimine con un altro passo: un adagio», dice il regista rivelatosi con la serie tv Romanzo Criminale.

In effetti il film, prodotto dallo stesso Sollima e da Lorenzo Mieli per The Apartment, è lontano dai ritmi anche adrenalina tipici del regista che, per la prima volta, firma la sceneggiatura insieme a Stefano Bises, mettendo in scena la storia del giovanissimo Manuel (Gianmarco Franchini) che si prende cura dell'anziano padre (Toni Servillo) e che finisce vittima di un ricatto di due carabinieri corrotti (Adriano Giannini e Francesco Di Leva). Per salvarsi si rivolgerà a due ex-criminali, vecchie conoscenze del padre, Polniuman e Cammello interpretati da Valerio Mastandrea e Pierfrancesco Favino.

Tra Favino e Sollima il legame è forte «perché spiega l'attore che recita da malato terminale completamente pelato e con 20 chili in meno è il terzo film che faccio con lui. Qui mi sono immaginato come un insetto in fuga, una blatta che esce dall'angolo insieme ad altri criminali. Cammello è una figura non di spicco nel mondo criminale, un cosiddetto cavallo che è uscito di galera perché malato e con poco futuro davanti».

Gioca molto sul cambiamento fisico anche il personaggio di Valerio Mastandrea che ricorda come «sono stati giorni di riprese molto più faticosi dei mesi di altri set.

Ho dovuto indossare delle lenti bianche per tutto il giorno che mi facevano vedere in maniera velata e così il cervello si è conformato alla situazione di cecità».

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