Addio a Carlo Maria Giulini

Quanti siamo, in un silenzio inutilmente svelato, a piangere in segreto la morte di colui che reputavamo il più grande direttore d’orchestra vivente? Quanti, nel tempo dell’appariscenza, sapevano che Egli, l’uomo più riservato d’Italia, umilissimo e religiosamente devoto, colui che nei contratti faceva scrivere che avrebbe rifiutato ogni vita di società, era ancora così meravigliosamente vivo? Quanti laureati e presunti informati, nel Paese della musica, avrebbero saputo proferir parola su colui che il critico Angelo Foletto denominò il Moderno eremita? Quanti improbabili elenchi di senatori a vita ci sono passati di mano, mentre il Maestro 91enne, il direttore della storica Traviata scaligera con Maria Callas e Luchino Visconti, scevro a ogni ideologia, cercava il silenzio dentro di sé? La sua Nona sinfonia di Bruckner, infinita ed estatica, ieri risuonava per tutto

il pomeriggio. Carlo Maria Giulini era lì, rappreso nel suo gesto di preghiera, fragile e però intangibile, fratello e ministro al tempo stesso. Diceva: «Non lo conosco affatto, quello là che sta sul podio». Neanche noi.

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