La proprietaria aveva cominciato a preoccuparsi qualche anno vedendolo tornare ogni santo giorno dopo diverse ore e senza un graffio o un morso, anzi sereno e contento. Un giorno, seguendone le orme, Mrs. Sue Finder, lo agguantò mentre tentava di salire su un bus. A quel punto l'autista aprì la portiera, scese e, con garbo ma fermezza, chiese alla sua legittima proprietaria (a lui ignota) perché volesse vietare al micio il suo giro quotidiano a bordo del pullman. Fu così che la proprietaria venne a sapere dove andava il suo gatto ogni giorno e come mai rientrava così pacifico e sereno. «Amava molto le persone e avevamo la fermata del bus n° 3 proprio di fronte a casa. Evidentemente lui seguiva la gente che saliva e si beava di restare assieme a loro per tutto il tempo del viaggio». L'anno scorso la storia del «gatto pendolare» di Plymouth, città di 250.000 abitanti nella contea del Devon (Gran Bretagna) valicò i confini dell'intera nazione e molte testate del mondo si occuparono di questo singolare caso, per qualche verso assomigliante a quello di Hachiko reso celebre dal film natalizio con Richard Gere. Mentre l'Akita Inu attese per anni il suo proprietario defunto davanti alla stazione di Shibuya, in realtà il gatto britannico non attendeva nessuno, ma tutti attendevano lui. Tanto che, l'altro giorno, non vedendolo salire a bordo del bus, qualcuno ha telefonato alla stampa, temendo fosse malato. La realtà era molto peggiore. Casper, come lo aveva chiamato Mrs. Finder, era morto e la condizione era resa ancor più triste dal fatto che la fine della sua esistenza era stata causata da un pirata della strada. Un automobilista, fuggito senza prestargli soccorso, lo aveva investito mentre zampettava sul bordo della strada e una donna aveva bussato alla porta della proprietaria recandole la triste notizia che il corpo di Casper giaceva a pochi metri dalla sua dimora. «Non avrò mai più un gatto simile» ha detto una Sue depressa e piangente all'Herald di Plymouth «un gatto così amante delle persone, così rispettoso ed educato, un gatto che ho chiamato Casper, come il fantasmino dei fumetti che appare e scompare».
Casper, una volta salito sul bus, era solito mettersi seduto, se c'era un posto libero, oppure girare con la coda frusciante tra le gambe dei passeggeri che gli dispensavano montagne di carezze, alle quali lui rispondeva speso con poderose fusa. Una volta al capolinea era la volta degli autisti: altre carezze, cibo e altre stentoree fusa. Fino a quando, e tutti gli autisti della linea 3 lo avevano imparato, al ritorno il bus fermava davanti alla sua casa e Casper scendeva dando un'occhiata alle sue spalle, come ringraziasse per il giretto e per la compagnia.
«Ciao Casper - gli ha scritto Chris, il capo degli autisti. Lo so, ti ho perso, ma un giorno guiderò per te in cielo».
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