Cultura e Spettacoli

Addio a Francy Boland, il pianista che entusiasmò Chet Baker

L’artista belga aveva 76 anni ed era ancora in attività. Divenne famoso guidando una big band con il batterista Kenny Clarke, sotto la direzione artistica dell’italiano Gigi Campi

È morto improvvisamente a Ginevra il pianista, compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra Francy Boland. Nativo di Namur, nel Belgio sudorientale, avrebbe compiuto 76 anni il prossimo 6 novembre. Era ancora in piena attività, soprattutto come splendido compositore.

Franco Fayenz

Agosto è un mese sbagliato per morire: per quanto un musicista sia celebre, la sua fine rischia di passare sotto silenzio. Boland apparteneva alla prima generazione dei jazzisti europei del dopoguerra, quella che seguiva i pionieri degli anni Venti e Trenta. Aveva capito, più dei migliori solisti connazionali (Bobby Jaspar, Jacques Pelzer, René Thomas) che i musicisti europei dovevano affrancarsi dai modelli americani e seguire una strada propria, che cercasse l’influenza della grande musica europea.
A vent’anni Boland si fa notare per lo stile pianistico moderno e incisivo, frutto di studi ortodossi, e per la fertile vena compositiva. Le orchestre francesi gli procurano presto fama internazionale. Nel 1956 Chet Baker, rimasto privo dello straordinario pianista Dick Twardzik stroncato dall’eroina, scrittura Boland e lo porta negli Stati Uniti, dove Benny Goodman e Mary Lou Williams utilizzano le sue composizioni. Tornato in Europa nel 1957, si accorda con il batterista Kenny Clarke, nel frattempo emigrato in Francia, per la fondazione dell’ottetto Golden Eighte della Clarke-Boland Big Band. È la svolta della sua vita. Un italiano residente a Colonia, Gigi Campi, si prende cura dell’orchestra. Senza la collaborazione di Campi la band non avrebbe realizzato la sua brillante attività concertistica e discografica, malgrado la fisionomia di «torre di Babele», secondo la definizione, in questo caso laudativa, della critica. Ne fanno parte solisti americani come Sahib Shihab, Benny Bailey, Phil Woods, Johnny Griffin, Zoot Sims e Jimmy Woode. Gli europei sono in maggioranza: meritano la citazione almeno Dusko Gojkovic, Kenny Wheeler, Ronnie Scott e Tony Coe. L’orchestra è molto omogenea e gareggia con le migliori formazioni americane. L’elemento unificante è Boland con il suo pianoforte, le composizioni, gli arrangiamenti.
L’orchestra si scioglie nel 1973, dopo aver registrato una trentina di long playing. Rimane vedovo inconsolabile Gigi Campi che cerca comunque di riunirla nuovamente in qualche modo. Rientra in Italia, a Milano, dove fonda una formazione assai simile sotto la direzione di Thad Jones e presenta i musicisti, nell’aprile 1983, in un’effimera edizione del Jazzfest di Sanremo. Poi sceglie la soluzione più realistica, cioè la ristampa in cd di buona parte dei bellissimi dischi, oggi reperibili anche in Italia.

È stato Campi, in mancanza di note d’agenzia, ad annunciare via internet che Francy Boland non c’è più.

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