Maurizio Cabona
Ci sono registi di cui quasi nessuno sa il nome, ma di cui quasi tutti conoscono un film. È il caso di Gerard Oury, morto ieri ottantasettenne a Saint-Tropez. Il film in questione è Tre uomini in fuga (1966), fortunata più che bella parodia delloccupazione tedesca e della Resistenza francese. In Francia diciassette milioni di persone andarono a vederlo; in Italia molti di meno, ma sempre tanti per un film francese, anche allora, quando allEliseo cera Charles de Gaulle e nel cinema cerano Jean Gabin e Jean Sorel, Alain Delon e Lino Ventura, Jean-Paul Belmondo e Brigitte Bardot.
Si spiega così lenfasi luttuosa del primo ministro Dominique de Villepin nel definire ieri Oury «uno dei maggiori registi, una grande figura del cinema francese» e la «tristezza» dell ex ministro socialista della cultura di François Mitterrand, Jack Lang, secondo il quale «lopera del regista aveva riannodato rapporti con le grandi tradizioni dellarte comica popolare». Era stato infatti solo in epoca mitterrandiana (1991) che Oury aveva avuto la Legione dOnore.
Le star di Oury in Tre uomini in fuga erano stati - come nel precedente Colpo grosso ma non troppo (1965) Louis de Funès e Bourvil. I due avrebbero lavorato ancora per Oury, ma separati: ne Il cervello (1969) Bourvil avrebbe avuto vicini Belmondo e Silvia Monti (futura signora De Benedetti); in Mania di grandezza De Funès avrebbe fiancheggiato Yves Montand; ne Le folli avventure di Rabbi Jacob (1973), con De Funès ci sarebbe stato Renzo Montagnani.
Poi fu Pierre Richard lattore per eccellenza di Oury, con i buoni incassi (eminentemente transalpini) della Svignata (1979) e dellOmbrello bulgaro (1980).
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