Una sentenza già scritta: anche il clima sociale era contro gli imputati

I ragazzi hanno affrontato in aula lo spirito del tempo: non basta più un "no" esplicito, occorre un "sì" valido

Una sentenza già scritta: anche il clima sociale era contro gli imputati
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Otto anni di carcere: questa società non accetta più le zone grigie. E questa sentenza, o meglio il suo dispositivo, ne contiene altre due: una riguarda la nostra epoca e la nostra giurisprudenza, l'altra la nostra Giustizia.

Nel primo caso ci sono dei ragazzi, anzi degli stupratori, che a Tempio Pausania hanno affrontato non solo un processo, ma anche lo spirito del tempo, appunto di un'epoca: rappresentanti (anche) di una generazione poco comprensibile ai padri, ai giudici e ai media. La violenza sessuale è tra le poche la cui giurisprudenza ha conosciuto una svolta radicale: sino al 1996 lo stupro era rubricato come reato contro la moralità pubblica e non contro alla persona; solo dopo di allora (legge 66) risultarono violate la libertà e l'autodeterminazione. Non è più il corpo che conta, non sono più i lividi, i graffi o la colluttazione, ma è il consenso, la capacità di dire sì o no. La Cassazione ha chiarito che la violenza non è necessariamente accompagnata da forza fisica: una persona ubriaca, addormentata o stordita è incapace di scegliere, e il consenso, se non è lucido e libero, semplicemente non c'è, l'inerzia non è consenso, il silenzio non è consenso, l'incapacità di opporsi è già violenza.

Un tempo si diceva: non ci sono segni di violenza non c'è stupro; da qui i processi alla vittima, a com'era vestita, quanto aveva bevuto eccetera. Oggi non più, e il caso di Ciro Grillo e amici è tutto dentro questa nuova cornice, che, al pari di ogni moto rivoluzionario, troverà un suo accomodamento che ancora non sappiamo se ci sia stato a Tempio Pausania: nel senso che dobbiamo leggere le motivazioni. Sappiamo che otto anni, più sei di processo, sono tanti: pensare il contrario non è da persone equilibrate. I fatti sono comunque che risultano colpevoli in primo grado e che la linea difensiva vecchia maniera (i rapporti erano consenzienti, la ragazza era lucida, il giorno dopo è andata al mare) è risultata fuori tempo sul piano storico. Oggi non si discute più se la ragazza abbia detto un «no» esplicito o se abbia opposto resistenza fisica: si discute se fosse in grado di dare un «sì» valido.

Non ha aiutato che i protagonisti appartengono a una generazione cosiddetta inafferrabile e cresciuta in un clima di iperconnessione, di sessualità esibita e registrata, a cavallo fra il privato e il pubblico. Video e chat sono diventate prove di tribunale, ma anche segno di un costume. Il processo parallelo, quello mediatico, ci ha messo del suo: il cognome Grillo ha pesato (tanto) e i media oggi titolano sulle richieste di condanna, non sulle repliche della difesa. La sentenza popolare era già scritta. La cornice storico-mediatica era sfavorevole agli imputati. Il clima sociale e culturale anche. La retorica «lei era consenziente» è diventata macchiettistica e ha poca presa, anche perché diventa colpevolizzante verso la vittima. Ora invece i colpevoli sono solo loro, zone grigie non ce ne sono più.

Poi c'è l'altra sentenza, quella che riguarda la nostra Giustizia: ed è già inappellabile. Sei anni per stabilire se una notte, in una villa di Porto Cervo, fu sesso o fu stupro: un tempo che ha consumato la nostra memoria e figurarsi quella dei protagonisti con la loro vita trasformata in una sospensione permanente, alimentata solo da un dibattito spesso bipolarizzato e stucchevole. A questo ha contribuito l'imprevisto, ma anche il previsto: persino il lutto del presidente del collegio ha mostrato la nudità di un sistema, non esiste una supplenza pronta, non c'è una struttura che regga, se cade un giudice crolla l'intero processo; il Csm peraltro aveva dovuto riesumare un magistrato già trasferito solo per tenerlo in piedi, il collegio. Poi ci sono stati i rinvii, le udienze iniziate con ore di ritardo, i legali trattenuti dal mare mosso o da un traghetto che non arriva: ecco, è una giustizia che si ferma se non parte un traghetto. Anche senza il mare di mezzo, però, basta pescare a caso: processo Eternit-bis e l'andirivieni fra prescrizioni, annullamenti e conflitti di competenza che trasformò un giudizio in una saga procedurale senza fine. Processo Cucchi, dieci anni fra perizie contraddittorie con dei collegi che via via cambiavano in un numero impressionante di udienze rinviate, con mezza opinione pubblica che dopo dieci anni non ricordava più come fosse iniziata la storia.

Processo Meredith Kercher: otto anni, quattro gradi di giudizio, sentenze ribaltate e ribaltamenti dei ribaltamenti, la Cassazione costretta a un finale assolutorio che non ha convinto nessuno. Inchiesta Consip, altro processo che ha trasformato la verità giudiziaria in un'astrazione. Caso Vannini. Caso Genovese. Caso Italia.

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