Alberto Pasolini Zanelli
da Washington
Non scenderà proprio allo «Hanoi Hilton». Altri americani ci hanno vissuto in un altro tempo, durante unaltra guerra, unaltra epoca storica. Non era un hotel, naturalmente, ma una prigione, quella in cui furono rinchiusi fino a otto o dieci anni di fila soldati Usa prigionieri dei nordvietnamiti, in genere aviatori abbattuti nel corso delle loro missioni sul Nord. È in un altro spirito, e con altre mire, che George Bush ha annunciato ieri che visiterà, lanno prossimo, il Vietnam. Lo ha detto al termine di un colloquio con il primo ministro Phan Van Khai alla Casa Bianca. La data dellannuncio, se non proprio quella della visita, corrisponde a un anniversario: 30 anni e qualche settimana fa si concludeva a Saigon la lunga guerra nel Sud-est asiatico, con la vittoria dei comunisti e, soprattutto, con lunica sconfitta patita dagli Stati Uniti nei loro due secoli e passa di vittorie. Anche per questo il Vietnam è rimasto una patata bollente nel linguaggio politico di Washington. E non conta che un americano che è stato presidente sia già andato ad Hanoi prima di Bush: si tratta di Bill Clinton, cioè di storia antica, presumibilmente alla ricerca di una qualche riconciliazione non soltanto fra due Paesi ma con se stesso.
Il viaggio di Bush non avrà niente di sentimentale, né di espiatorio: e neppure è motivato dal bisogno di «chiudere unera». Le ere questo presidente le ha considerate chiuse tutte allindomani dell11 settembre 2001. Sappiamo che per lui la Storia Moderna è cominciata con le Torri Gemelle. È unaltra costante della politica estera di Bush che i Paesi stranieri vengano trattati non in base ai loro comportamenti passati, ma secondo gli attuali, in obbedienza alla formula del «o con noi o contro di noi», collaudata soprattutto con Paesi arabi fortemente integralisti come il Pakistan e con le dittature ex sovietiche dellAsia Centrale.
Bush va ad Hanoi a parlare di attualità e di «affari». Gli interessi dei suoi ospiti sono prevalentemente economici: il Vietnam è impegnato in una cauta sperimentazione semicapitalista su uno sfondo di grande povertà, in cui gli aiuti servono, diretti o indiretti che siano. Quanto al visitatore, egli avrà in mente unaltra «partita», quella con la Cina, che assorbe sempre più tempo ed energie dellamministrazione di Washington. Potrebbe far comodo una qualche entente cordiale con un ex nemico che geograficamente ha tutti i requisiti per diventare un amico.
La grande politica asiatica ha sempre avuto bisogno di triangolazioni del genere: già durante la guerra nel Sud-est nel 1972 a Washington fece gioco la «distensione» avviata da Richard Nixon con Mao Tse Tung ancora in sella. Meno nota è la coincidenza di interessi di sette anni dopo, quando il Vietnam unificato e comunista marciò contro la Cambogia ultracomunista di Pol Pot e la Cina prese le parti di questultima e, sul piano diplomatico, anche gli Stati Uniti. Washington giocò la «carta cinese» contro Phnom Pehn per qualche tempo dopo averla usata, con maggior frutto, contro Mosca, «patrona» a sua volta di Hanoi.
Il nuovo «triangolo» potrebbe dunque passare per inedito; ma lo è anche la situazione che si presenta con la crescita impetuosa della Cina ormai post-comunista (che poche ore fa ha annunciato la più grande privatizzazione industriale nella storia del mondo) che non può essere e non è soltanto economica ma che ha risvolti militari di cui Washington non si sogna di non tener conto.
Quando la visita avverrà altre cose saranno maturate. Abbastanza, forse, per ridurre limpatto emotivo del viaggio di Bush e le sue possibili ricadute interne. Il Vietnam non ha smesso di essere anche un pezzo di storia americana, con molti protagonisti ancora in scena.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.