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Addio Pdl, torna Forza Italia

Napolitano ha fatto gli auguri a Berlusconi. Di Natale, ma non soltanto. L’auspicio è che questo governo vada avanti. È una sorta di via libera al premier a procedere con la sua maggioranza risicata alla Camera e un altolà a chi ancora trama per tentare improbabili e pasticciati ribaltoni. Governare con pochi voti di margine, quindi, oltre che legittimo è lecito. Del resto in molte democrazie europee già avviene, lo stesso Obama guida l’America con dalla sua un solo ramo parlamentare. Da ieri, quindi, l’ipotesi di elezioni anticipate perde ancora un po’ di quota e la maggioranza respira. Al punto che si ricomincia a guardare al futuro non sotto l’incalzare delle emergenze, ma con piani a lungo termine. Come quello - la notizia è trapelata da un incontro tra Berlusconi e alcuni europarlamentari - di cambiare nome al Pdl. E tra le ipotesi, la più accarezzata è quella di tornare alla vecchia Forza Italia. Se così sarà, non si tratta di banale operazione di facciata ma la presa d’atto che la fusione con An non ha dato i risultati sperati. E non soltanto per la scissione di Fini.

È evidente che un’operazione del genere implica non soltanto ribadire con forza la centralità assoluta e indiscutibile di Berlusconi, ma anche di tutta la classe dirigente proveniente da Forza Italia. Al centro come in periferia. Il che aprirebbe un nuovo, grande dibattito dentro l’attuale partito di maggioranza. Accetteranno gli ex colonnelli rimasti fedeli al premier di stare in una struttura di nome e di fatto diversa da quella del Pdl? Se sì, a che condizione? E se no, cosa potrebbe accadere? Non per forza le risposte a queste domande devono portare a una situazione traumatica simile a quella vissuta con Gianfranco Fini. Anzi, potrebbe essere il contrario. La chiarezza, in politica, aiuta sia nella gestione del potere che nella comprensione da parte degli elettori. Non dimentichiamo che la prima ipotesi sul partito unico del centrodestra non era la nascita del Pdl ma una federazione, che è più di una alleanza ma meno di una fusione.

Del resto, chiarire definitivamente i rapporti tra le due componenti del Pdl ormai è una necessità non più rinviabile. Che toglierebbe ulteriore terra da sotto i piedi di Gianfranco Fini e renderebbe più agevole il ritorno a casa di non pochi suoi deputati.

Il più spaventato da una simile ipotesi è proprio il presidente della Camera, amico dei magistrati antiberlusconiani (coi quali avrebbe fatto un patto), che ieri ha annunciato di non voler abbandonare la poltrona sulla quale è seduto. Forse già sa che è l’unica e l’ultima che gli resta.

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