Politica

Addio tabù del macho: sempre più italiani in coda dal sessuologo

Nino Materi

«Conosci un bravo andrologo? No, non è per me. Sai, ho un amico che ha qualche problemino...».
Fino a ieri il «problemino» non lo attribuivamo mai a noi stessi, ma sempre a un vicino di casa, a un collega di lavoro, a un parente: tutti uomini di età variabile ai quali offrivamo «altruisticamente» il nostro aiuto.
Da oggi, finalmente, il tabù del macho che si vergogna delle proprie defaillances sotto le coperte è roba solo per un personaggio di Brancati. Insomma, «Paolo il caldo» non abita più né in Sicilia né nel resto d’Italia. Tanto che «due italiani su tre» sono vittime di difficoltà in ambito sessuale.
Per fortuna non tutti i problemi sono «reali», considerato che nel 50% dei casi si tratta di paure «infondate» (come quella legata alla dimensione del pene); non così, invece, nel caso di altre tipologie che rappresentano vere patologie come eiaculazione precoce, deficit erettile, mancanza di libido e infertilità.
«Sono sempre più numerosi i pazienti che si rivolgono a noi perché ossessionati dalla dimensione del pene - afferma il professor Andrea Ledda, andrologo e direttore scientifico del Congresso nazionale “Progressi in andrologia”, che si sta svolgendo a Villa San Giovanni -. Sono giovani, tra i 20 e i 40 anni, di cultura media, molti studenti, con alle spalle una sfilza di storie finite con giovani donne. Tutti alla ricerca della risoluzione del grande problema che li assilla: la lunghezza inadeguata, secondo loro, del proprio pene; ma nell'80% dei casi le dimensioni rientrano nella norma. Numerosi soffrono di eiaculazione precoce, hanno problemi di erezione e erroneamente imputano questi disturbi proprio alla dimensione del loro organo sessuale e pensano di non saper fare sesso».
Il professor Ledda, per spiegare il fenomeno, tira in ballo una sorta di «Sindrome di Rocco Siffredi»: «Responsabile diretta di questo sentirsi inadeguati e di quanto ne consegue è la pornografia sempre più diffusa. La visione di film hard e la frequentazione di siti porno, diffusissima, sviluppano nei giovani uomini la falsa convinzione di essere inadeguati». Così comincia la depressione da insoddisfazione sessuale: il maschio si scopre diverso da certi modelli e si sente inadeguato.
Da qui alla scorciatoia della «pillola dell’amore» il passo è breve e può addirittura peggiorare le cose: «Due su tre di coloro che avevano problemi sessuali e hanno provato le pillole dell'amore smettono di prenderle perché non hanno risolto alcun problema - spiega il dottor Nicola Ilacqua -. La situazione è la seguente: sesso solo da “dopato”, dopodiché tutto torna a non funzionare».
«I dati di vendita dei farmaci a base di sildenafil, tadalafil e vardenafil - afferma Ilacqua - dopo uno stallo nella prima metà del 2005, sono di nuovo in crescita. Oltre il 60% degli acquisti è motivato dalla ricerca della superprestazione. Ma bisogna dire a gran voce che queste ottime “pilloline” gialle, blu o arancioni hanno la capacità di risolvere momentaneamente il sintomo. Nel caso della disfunzione erettile risolvono solo il problema funzionale regalando qualche ora di normalità. In poche situazioni hanno una capacità terapeutica ma per il resto non rappresentano in alcun modo una cura risolutiva».
Sta di fatto che dopo un periodo di «cura» a base di Viagra o Cialis e simili, l'uomo in difficoltà psicologiche dice basta al sesso chimico perché si rende conto che non ha risolto il problema: questi prodotti infatti non agiscono sul desiderio ma sull’erezione. Inoltre il «popolo delle pasticche», nell'80% dei casi, non comunica alle mogli o alle compagne la natura chimica del sesso che offre.

Un bluff che scatena crisi depressive e ansia da prestazione: entrambe nemiche giurate del sesso.

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