Addio Wilkes, il primo olandese d’Italia

Roberto Bonizzi

Faas Wilkes è stato la «Monna Lisa di Rotterdam» per gli olandesi. I suoi dribbling erano così belli che lo paragonavano a un’opera d’arte. «Que fas Faas?» per gli spagnoli. Prendeva palla e il suo estro lo portava fin dentro la porta avversaria, ma nessuno sapeva come lo avrebbe fatto. «Olandese volante» per i banalotti italiani meravigliati da un tiro di straordinaria potenza unito a qualità prodigiose da mezz’ala. Di lui il presidente della federazione arancione Henk Kesler ha detto: «Ha fatto conoscere il nostro calcio in tutto il mondo». Wilkes, considerato uno dei più forti calciatori olandesi di ogni epoca, è morto la mattina di ferragosto all’età di 82 anni. L’idolo dell’idolo, Johan Crujiff. Gli è stato fatale un problema cardiaco, nella sua casa di Rotterdam.
Wilkes, nato il 13 ottobre 1923, iniziò a giocare a calcio con lo Xerxes Rotterdam, la squadra della sua città. Ben presto, dal 1946, divenne il punto di riferimento anche dell’attacco della nazionale arancione. In 39 presenze stabilì il record assoluto di realizzazioni, con 35 gol, superato negli ultimi anni solo da Dennis Bergkamp con 37 reti. Nel 1949, uno tra i primi calciatori olandesi, firmò un contratto da professionista (rinunciando così alle convocazioni nella selezione dei Tulipani, riservate ai dilettanti). Fu il dirigente nerazzurro Giulio Cappelli a convincerlo: Wilkes lasciò Rotterdam per l’Inter. Indossò la maglia nerazzurra per tre stagioni, dal 1949 al 1952. Per lui 95 presenze e 47 reti, due secondi e un terzo posto in campionato. Ma soprattutto l’espressione di un tipo di gioco che impressionò le platee italiane. Controllo di palla delizioso, dribbling infiniti, tiro potente: il primo olandese della storia in Italia, il migliore fino all’arrivo di Krol al Napoli e dei tre arancione del Milan (Rijkaard, Gullit, Van Basten). L’ex mediano nerazzurro Gianni Invernizzi ricordava così il compagno di squadra: «Era un giocatore incredibile: prendeva palla nella sua metà campo, appena fuori dall’area, e la portava dall’altra parte. Nessuno riusciva a fermarlo, dribblava tutti. Lorenzi si arrabbiava perché non gliela passava». Ma Wilkes era così: un magico solista.
Dopo la parentesi milanese firmò un biennale con il Torino. Ma sotto la Mole la sua storia fu breve e travagliata: a causa di un gravissimo infortunio al ginocchio giocò soltanto tre gare, senza segnare, e fu ceduto al Valencia. Le cronache malignarono sul suo calo di rendimento. La colpa, secondo i giornali popolari, era della moglie: un’incantevole e ricchissima principessa di Giava.
In Spagna proseguì la leggenda di Wilkes, a colpi di bordate da fuori area, invenzioni incredibili e slalom che mettevano a sedere plotoni di difensori avversari. Nella Liga per l’olandese 62 gare e 38 reti, prima del ritorno in patria con la maglia del Vvv Venlo.

Poi, nel 1958, ancora Spagna, con la seconda squadra di Valencia, il Levante. Quindi il rientro definitivo in Olanda prima un biennio con il Fortuna ’54 per chiudere la carriera all’età di 41 anni (nel 1964) nuovamente con la casacca biancoblù dello Xerxes Rotterdam.

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