Adele e la sua squadra, così la Liguria conquista Sanremo

Adele e la sua squadra, così la Liguria conquista Sanremo

(...) dai riferimenti musicali classici e dalla geografia, la Liguria è comunque il valore aggiunto del Festival. Uno dei pochi, direi. (Piccola parentesi di istruzioni per l’uso: già che ci sono, ne approfitto per scusarmi con i nostri lettori della provincia di Imperia per un disagio che li riguarderà domani: proprio causa Festival, per poter fare avere loro tutte le ultime notizie sulla serata finale, non riceveranno le pagine di Genova e della Liguria. Ma tranquilli, da martedì torna tutto normale).
Valori aggiunti, si diceva. Ora, mi rendo conto che far passare per ligure Bianca Guaccero, che della bellezza e della sensualità meridionale è quasi una definizione vivente, è quantomeno azzardato. Ma il suo racconto sul palco dell’Ariston della gita scolastica che la portò per la prima volta alle nostre latitudini, è qualcosa che riconcilia con il Festival. E anche con le gite scolastiche. Il racconto del colore delle case di Portofino e le leggende su persiane aperte e persiane chiuse regalano a Bianca un credito di simpatia ottimo e abbondante. Come, del resto, era già chiaro a chi l’ha apprezzata fin dalla sua apparizione a fianco di Luca Barbareschi nel Trasformista.
E poi - a parte poche chicche sparse qua e là dal Grande Sud di Eugenio Bennato e Pietra Montecorvino alla straordinaria bellezza di Lola Ponce, dal ritorno di Luca Madonia e dei Denovo sul palco dell’Ariston insieme a Mario Venuti ai Frank Head, fino alle trionfali scollature da salivazione azzerata di Anna Tatangelo - il resto, è Liguria. Sì, proprio la musica intendo.
Perchè le tre proposte sanremesi più interessanti hanno tutte la stessa firma, quella di Adele Di Palma, cuore e anima di Cose di musica, che cura con stile artigianale tutta la musica italiana migliore. Lo fa da sempre, da quando si occupava dei tour di Fabrizio De Andrè, ad oggi che segue con cura maniacale Gianna Nannini e Daniele Silvestri, Samuele Bersani e tanti altri. Fra questi altri, per l’appunto, ci sono Giua, Frankie Hi Nrg e Tricarico, con Bennato e pochi altri i gioielli di famiglia della povera gioielleria dell’Ariston.
Ecco, Adele Di Palma è una di noi. Oddio, la carta di identità dice Milano, la sua parlata pure. Ma è la sua storia - che sa di sale e di vento di De Andrè e di Fossati - che è assolutamente ligure. Tanto che l’illuminata giuria del premio regionale ligure, coordinata dall’assessore alla Cultura di De Ferrari Fabio Morchio, non ha esitato un attimo a darle il premio come miglior promotrice culturale. A garantire sul suo pedigree al sapore di pesto, non solo la sua storia, ma anche l’anagrafe: Adele ha scelto di vivere almeno metà dei suoi giorni a Leivi, non nel buen retiro classico dei lombardi sulla costa. Ma all’interno, dove la Liguria sa essere più dura. E dove devi esserne davvero innamorato per decidere di star lì.
Proprio l’aria di Leivi, quelle raffiche di cartavetrata illuminate dal riverbero del sole di questi posti davanti al mare, forse, sono uno dei segreti della qualità oltre la modica quantità delle tre produzioni griffate Di Palma in gara a Sanremo. In un Ariston che, con lei, sembra quasi l’Ariston del club Tenco. Quello vero, intendo. Quello di Amilcare Rambaldi, non la caricatura degli ultimi anni.
Giua, quindi. Ligure che più ligure non si potrebbe. Rapallina di Rapallo che è arrivata alla finale di ieri sera con la forza della sua voce, della sua dolcezza timida e apparentemente indifesa e di un percorso che, un po’ alla volta, deve scappare dall’amore per il fado portoghese e per gli andamenti lenti. Mentore Campodonico, sindaco come quelli di una volta, della rapallesità di Giua ne ha fatto addirittura un manifesto. Nel vero senso della parola: le strade cittadine sono tappezzate dei bei boccoli stile Anna dai capelli rossi della cantautrice, con tanto di slogan: «La voce di Rapallo al Festival».
Il secondo uomo di Adele, Frankie, sul palco dell’Ariston ci ha fatto la rivoluzione. In ogni senso, non solo in quello del titolo della canzone. I suoi arrangiamenti morriconiani, la sua stralunata alternanza di rap e occhiolini all’alta rotazione radiofonica, soprattutto la citazione - subliminale e bellissima di Faber - che apre la canzone. Le prime note sono infatti prese di peso da Storia di un impiegato, il concept album di De Andrè che rivoluzionò la musica italiana dell’epoca.
Quello che, in fondo, ha fatto anche Tricarico per il Festival.

Il ribaltamento della Vita spericolata di Vasco in Vita tranquilla, il duetto surreale e sognante con il mago Forrest sullo sfondo, Steve Mc Queen trasformato da eroe immortale a semplice cartonato, il suo viso che se lo incontri di notte ti fa un po’ paura... Tutto è antifestivaliero. Ma tutto è anche assolutamente dolce e indifeso, timido e perforabile. Capolavoro. Anche di Adele. Molto, molto ligure.

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