da Roma
Non cambia nulla. Assolutamente nulla. Si fa ringhioso, anche nelle forme, il contrattacco dei costituzionalisti, da Bruxelles e da altre capitali europee, dopo lo strappo britannico. Jean-Claude Juncker, presidente lussemburghese del semestre, non fa una piega: «La Costituzione non è morta». E José Manuel Durao Barroso - nonostante il forte legame con il Regno Unito - tien fermo il punto: «Mi appello alla prudenza: gli Stati membri non procedano a decisioni definitive» esordisce incontrando la stampa nella sede della commissione.
Scusi, gli fanno notare, ma Londra ha già deciso il congelamento... E lui, un pizzico stizzito: «Quel che ho chiesto e che spero avverrà è che nel Consiglio europeo di metà giugno si discuta tutti assieme se cè un problema. E qui ce ne sono stati due». Insomma Londra è sempre in gioco. Il suo è un congelamento temporaneo che ci può stare («Nessuno che io sappia - puntualizza il presidente della commissione - aveva in programma di ratificare di qui al 16 giugno...»), ma che alla fine dovrà esser rimosso. Perché, dice Barroso «quando uno ha firmato dei trattati ha dei doveri verso gli altri!».
Come prima, più di prima anche su un altro tema caldo: quello dellallargamento. Barroso rilancia rispetto ai dubbi emersi: «Si prosegue come previsto», annuncia con fermezza. «Recentemente - ricorda - tutti e 25 i membri hanno sottoscritto il trattato di accesso di Romania e Bulgaria e a oggi nessuno ha espresso alla commissione lidea di modificare quella decisione. Come al momento nessuno ha chiesto di rivedere la decisione di aprire i negoziati con la Turchia, previsti per il 3 di ottobre».
Risposta forte al nuovo ceffone che la Ue ha subito ieri. Ma che non risolve certo i problemi. Così come lidea polacca di costruire un fronte (Nuova Europa, il nome attribuitogli) che garantisca lentrata in vigore del progetto Giscard tra chi lha accettato, non pare possa fare molta strada. Vero che parecchi ex-Paesi dellEst che hanno appena fatto ingresso nella Ue, vogliono una ratifica per il timore di compromettere la loro permanenza. Va bene che anche dalla Francia chiracchiana e dalla Germania di Schröder partono inviti dal sapore di diktat ad andare avanti, a non badare al gioco inglese. Ma è pur vero che in Danimarca il fronte del no si fa corposo, che nella Repubblica ceca il presidente Vaclav Klaus non fa mistero del suo euroscetticismo. Che altri vorrebbero comunque un rinvio delle scadenze al 2007 in modo da dover fare i conti coi successori di Schröder e Chirac, considerati dal Times «unanatra zoppa e unanatra morta».
E al di là delle scelte sul testo costituzionale, si fa già incandescente la partita sui fondi strutturali: la questione della ripartizione dei quattrini che lingresso di 10 nuovi soci ha reso più complessa, anche perché si vogliono ritoccare al ribasso i contributi. Germania e Francia già fanno capire che andranno allattacco del famoso sconto inglese: 4 miliardi di euro che la Thatcher ottenne fossero messi in conto ad altri quando la Gran Bretagna, a metà anni 80, viveva una condizione di crisi. Da Londra a questo punto partono contrattacchi per gli aiuti alle regioni dellex-Germania-Est e ai fondi agricoli che i francesi hanno strappato.
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