La Corte di Cassazione ha annullato la radiazione di Renato Farina dall’albo dei giornalisti. Dopo le polemiche sui rapporti con uomini dei servizi dietro compenso, l’Ordine non doveva cacciare Farina perché egli nel frattempo si era dimesso e non poteva più subire sanzioni. «Il procedimento disciplinare doveva essere dichiarato estinto»: così si legge nella sentenza della terza sezione civile della suprema corte numero 14407/2011 del 27 maggio scorso, depositata ieri in cancelleria. Parole chiare e definitive: la Cassazione ha annullato senza rinvio il provvedimento entrando nel merito. Ciò significa che sono le ultime parole sulla vicenda, almeno nelle aule di giustizia. Il presunto agente Betulla non poteva essere radiato. I suoi avvocati hanno combattuto contro quattro giudizi, due emessi dalla magistratura milanese (tribunale e Corte d’Appello) e altrettanti dall’Ordine dei giornalisti. «È una grande soddisfazione, lei non ha idea», sospira l’avvocato Anna Sistopaoli, civilista dello studio Volo che ha seguito il procedimento. Giornalisti e toghe alleate: una macchina da guerra.
La difesa di Farina ha sostenuto sempre la stessa linea: l’Ordine non può irrogare una sanzione a chi non è più iscritto. Funziona anche per i magistrati: il procedimento disciplinare a un giudice decade se questi lascia la toga. Il 1° marzo 2007 il giornalista si dimette. Il 20 l’Ordine regionale della Lombardia ne prende atto, cancella il nome di Farina dall’albo e lo comunica all’Ordine nazionale. Il quale però, dieci giorni dopo, sceglie di forzare la mano decidendo ugualmente per la radiazione. La morte lavorativa, l’onta professionale, un marchio d’infamia che doveva appiccicarsi indelebilmente sulla fronte di Farina.
«Non pensavo di essere così importante da essere inseguito anche da morto. Non mi spiego tutto questo odio», dichiarò Farina al Giornale quel 30 marzo 2007. Ieri non ha voluto commentare la riabilitazione. Aveva dato le dimissioni per evitare il plotone di esecuzione: la sentenza era già scritta, il suo destino segnato. Il vicedirettore di Libero, l’agente Betulla, era un uomo dei servizi segreti, uno spione al soldo del Sismi e dei suoi interessi loschi e oscuri. L’Ordine dei giornalisti lombardo lo sospende per 12 mesi: è la procura generale di Milano a presentare ricorso. La corte d’appello respinge il contro-ricorso. Il caso finisce a Roma, dove la volontà punitiva sancisce l’allontanamento con ignominia, anche se la sanzione non poteva più essere emessa.
E su Farina si è incollato l’attestato del disonore che l’ha seguito anche in Parlamento (siede a Montecitorio dal 2008). Roberto Natale, presidente del sindacato dei giornalisti, ha definito «inopportuna e indecente» la presenza del deputato nella commissione Cultura della Camera che ha approvato la riforma dell’Ordine dei giornalisti: gli fanno i conti anche da parlamentare. E un anno fa è dovuto intervenire un giurì d’onore insediato da Gianfranco Fini per tutelare Farina dagli epiteti di qualche collega di centrosinistra: la commissione ha stabilito che Farina non è una spia, non è un agente ma una «fonte» del Sismi nell’ambito di «quelle che possono definirsi legittime e talvolta meritorie attività di collaborazione con i servizi segreti».
Era stato il generale Niccolò Pollari, ex numero uno del controspionaggio militare, a scagionare completamente il giornalista in una deposizione davanti al giurì: «Farina, su invito dell’autorità politica competente, dinanzi a problematiche drammatiche in cui erano coinvolti cittadini italiani sequestrati in scenari di guerra, ha accettato di fornire un contributo utile alla soluzione di questi casi, mettendosi disinteressatamente a disposizione di quell’autorità ed esponendosi anche a gravi rischi».
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