Adesso il cerino delle elezioni è in mano a Bossi Segnali dal Terzo polo: trattative serrate col Pdl

La Lega vuole tornare alle urne prima che il Cavaliere riorganizzi il partito. Fli, Udc e Mpa pronti a un patto di non belligeranza per scongiurare le elezioni. Si allunga la lista dei deputati pro governo

Adesso il cerino delle elezioni è in mano a Bossi 
Segnali dal Terzo polo: trattative serrate col Pdl

RomaUn obiettivo di sicuro Silvio Berlusconi lo ha centrato: nel Palazzo tutti fanno conti su conti, e si chiedono da dove mai possano arrivare i misteriosi parlamentari «responsabili» che dovrebbero andare a rimpinguare le file della maggioranza.
Il tam tam sui dieci (per i più ottimisti venticinque) futuri supporter del governo sta seminando sospetti dentro vari partiti. I più reattivi agli annunci che arrivano dal Pdl e dall’ex finiano Silvano Moffa sono stati finora Futuro e Libertà (che si sente nel mirino) e l’Italia dei Valori, partito un tempo leninisticamente compatto attorno ad Antonio Di Pietro ma oggi in pieno caos interno. La leadership dell’ex pm è per la prima volta messa apertamente sotto attacco dal rivale Luigi De Magistris e dai fiancheggiatori esterni (Il Fatto, Micromega, i vari movimenti giustizialisti) che lo utilizzano come testa d’ariete per scalzare l’ingombrante Tonino. Né la reazione di Di Pietro, che per spostare l’attenzione dallo «scandalo Scilipoti» (e rifarsi una verginità a sinistra) si è buttato a corpo morto sulla Fiom, cercando di mettere il cappello sulla battaglia anti-Marchionne disertata dal Pd, ha calmato le acque. Anzi, i mal di pancia nell’ala «moderata» di Idv hanno raggiunto in questi giorni il livello di guardia, e infatti è proprio da quelle truppe che, si sussurra, potrebbe arrivare qualche sorpresa. Si fa addirittura il nome del cognato di Di Pietro, Gabriele Cimadoro. Solo voci, per ora, come quelle sulle forti tentazioni che circolano tra Mpa e LibDem.
Più silenzioso, ma non per questo meno intenso, è il malessere dei finiani. I «pontieri», da Ronchi a Viespoli, fino a Baldassarri (personaggio chiave, perché dal suo voto nella commissione Bicamerale sul federalismo dipendono le sorti della riforma su cui grava l’ultimatum di Bossi) continuano a lanciare segnali di collaborazione. L’umore, nelle truppe del presidente della Camera, non è alto: dopo la sconfitta sulla fiducia, i finiani si ritrovano a subire - volenti o nolenti - la leadership imposta al Terzo Polo dal furbo Casini. Con la prospettiva poco rassicurante, in caso di elezioni anticipate, di dipendere dalla (incerta) benevolenza dell’Udc per riportare in Parlamento il grosso dei propri parlamentari. La tentazione del ritorno a casa, confida un esponente Fli, attanaglia molti, «ma in questa fase nessuno se la sente di tradire Fini». Anche se nel Pdl qualche nome circola, come quelli dei piemontesi Meinardi e Siliquini, furiosi da quando Fini ha imposto l’ex Pdl Rosso come coordinatore regionale. L’Udc, giurano invece i casiniani, è impenetrabile alle lusinghe berlusconiane: Casini ha giurato ad ogni deputato che sarà rieletto e - sulla base dei sondaggi - la garanzia è credibile. La strategia dell’ex presidente della Camera non prevede per ora alcuna alleanza col Cavaliere, nonostante le pressioni vescovili e familiari: i centristi sono pronti ad aiutare la maggioranza su ogni provvedimento a rischio (a patto di trattare qualche modifica di facciata) pur di evitare incidenti. Ma Casini pensa di aver tutto da guadagnare a tenersi le mani libere, su una linea di «opposizione responsabile» che gli fa guadagnare punti presso l’elettorato di centrodestra senza perderne a sinistra.
Alla fine, insomma, la vera partita a scacchi resta tutta interna alla maggioranza, e vede ai due lati del tavolo Berlusconi e la Lega. I colonnelli di Bossi spingono per il voto anticipato, sulla base di un semplice calcolo: in questa fase il Carroccio è in grado di fare il pieno di voti al Nord, mietendo tra gli scontenti Pdl. Per poi fare l’ago della bilancia di qualsiasi maggioranza. Ma se puta caso la legislatura andrà avanti, dando a Berlusconi il tempo di rilanciare la propria immagine di governo e di riorganizzare il partito, il potenziale serbatoio leghista potrebbe prosciugarsi.

Solo che le opposizioni (da Fli all’Udc, per non parlare del Pd) faranno tutto quel che possono per evitare le elezioni: se la Lega le vuole, dovrà provocarle, rischiando di pagare a caro prezzo il «tradimento». Ed è questa certezza a corroborare l’ottimismo esibito da Berlusconi.

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