Niente elmetto, la Federal Reserve non torna in trincea. Tassi «eccezionalmente bassi almeno fino alla metà del 2013», promette Ben Bernanke. Che per la prima volta definisce un limite temporale entro cui la politica monetaria non subirà variazioni. Costo del denaro dunque schiacciato tra 0 e 0,25% per altri due anni e mezzo. Ma dopo aver suonato in giugno la ritirata dalle misura di sostegno all’economia, il presidente della banca centrale Usa non fa dietrofront: per ora, non ci saranno nuovi acquisti di Treasury (ovvero l’equivalente dei nostri Btp) nonostante un’economia «notevolmente più lenta del previsto». In due mesi, il mondo si è rovesciato. Capovolto dall’avvitamento dei mercati e, ora, dai venti di recessione che rischiano di spazzare via una ripresa che, forse, non c’è mai stata da quella maledetta estate del 2007, quando il virus dei mutui sub prime cominciò a spargere veleni ovunque.
Bernanke è (era?) considerato uno dei massimi esperti di crisi. Ma ieri non ha cavato dal cilindro (sarebbe stata la terza volta), il coniglio un po’ spelacchiato del cosiddetto quantitative easing, arma non convenzionale con cui la Fed inonda di liquidità il mercato. La Fed punta su «un’ampia gamma di strumenti per favorire la ripresa economica», senza tuttavia precisare quali saranno. Così, resta sul campo solo l’arma un po’ spuntata dei tassi. Fermi, nonostante il parere contrario di tre membri del board.
Ma la Fed è cauta sulla congiuntura: «Gli indicatori suggeriscono un deterioramento del mercato del lavoro negli ultimi mesi e il tasso di disoccupazione sale». E ancora: «I rischi di ribasso per le prospettive dell’economia sono aumentati». Parole che non bastano per frenare Wall Street, che dopo le parole della Fed, e in una giornata di estrema volatilità, fa segnare un rimbalzo degno di nota (+3,98 il Dow Jones, addirittura +5,29 il Nasdaq). La decisione di mantenere fermi i tassi così a lungo conferma l’impegno della Fed per un rilancio dell’economia. E questo è piaciuto. Anche perché i timori di una nuova crisi rischiano di rimanere il leit motiv non solo in America ma anche in Europa, dove ieri l’attesa per le decisioni di Bernanke ha condizionato l’andamento delle Borse, tutte comunque in rialzo (+0,52% Milano).
Insomma, dopo sette sedute consecutive di passione, i mercati hanno tenuto. Ma fino a quando riusciranno a non cedere alle sirene del ribasso? L’America soffre, e certo l’Europa non sta meglio. Perfino la Germania perde colpi, con l’export sceso in giugno dell’1,2%. Brutta faccenda. L’Ue minimizza («Non stiamo entrando in recessione, ci sono segnali di ripresa»), ma basterebbe anche una frenata per esacerbare le tensioni sui debiti pubblici: le entrate fiscali si indebolirebbero, minando i programmi di risanamento dei conti pubblici intrapresi dai governi della euro zona.
E a quel punto, verrebbe messo a dura prova anche il cordone di sicurezza steso dalla Bce con i recenti acquisti di titoli di Stato italiani e spagnoli. A proposito della crisi, il presidente dell’Eurotower, Jean-Claude Trichet, ha detto che «poteva essere peggio del ’29» e ha ribadito i richiami ad Italia e Spagna, così come a tutti i Paesi di Eurolandia, a procedere con la massima sollecitudine al risanamento dei conti pubblici. Ma a chi gli domandava della lettera che la banca centrale ha inviato al nostro governo per chiedere un’accelerazione delle misure contro deficit e debito, ha risposto: «Noi mandiamo di continuo messaggi a tutti i Paesi europei».
L’intervento dell’Eurotower sui titoli di Stato continua intanto ad avere successo: i rendimenti dei bond in circolazione si sono alleggeriti, con il Btp decennale ora al 5,19% contro il 6,40% di venerdì scorso, così come gli spread (attorno ai 280 punti il differenziale Btp-Bund dal picco di 413 della scorsa settimana). Oggi il Tesoro torna sul mercato: all’asta, Bot annuali per 6,5 miliardi.
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