Vietiamo il nucleare e importiamo energia dalla Francia nuclearizzata. Vietiamo gli Ogm e importiamo soia transgenica a tutto spiano. E sentite un po’ l’ultima. Vietiamo i pesticidi che ammazzano la bestia nera del mais ma apriamo le porte a quello coltivato con ogni genere di insetticida. Proprio così, quella del mais è l’ultima contraddizione del nostro Paese. Rivelata da uno studio Nomisma che lancia un allarme: l’Italia, grande produttore di mais, ha perso il primato mondiale. Nella classifica è scesa dal primo al quarto posto dopo Spagna, Usa e Francia. Negli ultimi cinque anni il calo della produzione è stato del 19% e la domanda è rimasta invariata. La perdita economica oscilla dai 150 ai 200 milioni di euro all’anno, cioè circa un miliardo di euro in totale. Le cause di questo tracollo sono diverse, ma ci ha messo lo zampino pure l’abolizione, per decreto, dell’utilizzo di un pesticida (neonicotinoide) che ammazza una bestiaccia cattiva (diabrotica) ma danneggia irreparabilmente le api. E così dobbiamo importare il 21% del mais dall’estero. I paesi più appetibili in fatto di prezzi sono l’Ungheria e la Romania. Che utilizzano anche gli insetticidi neurotossici, killer delle api.
Questa è coerenza, verrebbe da chiedersi? No, ovviamente. Se lo fossimo, dovremmo escludere questi paesi dalla nostra lista di importatori preferenziali. Ma il mercato è mercato, signori. E così una scelta va fatta. Meglio sarebbe salvare capra e cavoli, cioè il mais e le api. Si può fare? Qualcuno giura di sì. Come l’agronomo Amedeo Reyneri, docente all’Università di Torino, che ha contribuito assieme ai ricercatori del centro studi Nomisma alla ricerca sul mais e le prospettive di crescita del settore commissionata da alcune aziende di Agrofarma (Federchimica). «Con l’uso dei neonicotinoidi si recupererebbe tra il 4 e il 6% della produzione nazionale. E questo è stato provato da un esperimento effettuato su 120 campi».
E come la mettiamo con la moria delle api? «Bisogna utilizzare adesivanti migliori al seme e modificare le macchine agricole in modo da non disperdere le polveri nell’aria. In Francia molto è stato fatto e le api non muoiono più». Allora è tutto semplice, verrebbe da dire. Non proprio, perché questo decreto viene giudicato una vera «tagliola» che non permette di fare sperimentazioni a largo spettro. «Nessuno vuole ammazzare le api - precisa l’agronomo – ma serve un approccio pragmatico e in Italia non si può fare ricerca su almeno mille ettari per effettuare verifiche di campo».
Insomma, salvare capra e cavoli si potrebbe, anche se non tutti sono d’accordo. Gli esperti di api per esempio. «In Francia la cosa funziona perché non hanno alberi in fiore ma solo coltura intensiva di mais – spiega Vincenzo Girolamo, ordinario di entomologia dell’Università di Padova - la monocultura non attira le api». Ma l’esperto non boccia gli insetticidi, anzi. «I neonicotinoidi sono stupendi ma devono essere usati razionalmente, dove servono. E per il mais in passato se n’è fatto un uso esagerato. Cioè le api muoiono ma nonostante questi insetticidi il mais non produce di più. In ogni caso, sono d’accordo sulla sperimentazione. Va fatta e sono sicuro che in futuro si riuscirà a trovare un sistema per abbattere le polveri». Lorenzo Furlan, dirigente di Venetoagricoltura, è più categorico. «Questi concianti sono giudicati indispensabili contro la diabrotica - spiega - ma in realtà, secondo un monitoraggio, i danni provocati da questo parassita americano sono insignificanti. Insomma, c’è una lotta sproporzionata in atto soprattutto perché molti gestiscono i campi come delle fabbriche».
Per Furlan, dunque, si può fare a meno del pesticida. La pensano allo stesso modo gli apicoltori che dopo lo stop all’insetticida incriminato hanno visto rifiorire gli alveari.
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