RomaAdesso tutti spingono il Carroccio affinché travolga Berlusconi: «Ve lo diamo noi il federalismo» è il senso dell’ultima ipocrita garanzia offerta dalle opposizioni, in cambio della spallata definitiva al Cavaliere. Sembra di sentire la canzone di De Andrè, La guerra di Piero, rivisitata per l’occasione: «Sparagli Umberto, sparagli ora, e dopo un colpo sparagli ancora». Trattasi di un remake di un film già visto, andato in onda nel dicembre del 1994. All’epoca Bossi staccò la spina al primo governo Berlusconi e divenne l’idolo delle sinistre. A suggellare l’assassinio dell’esecutivo, il celebre «patto delle sardine» nella casa romana del Senatùr. Attorno al tavolo, Massimo D’Alema per il Pds e Rocco Buttiglione per il Ppi: sardine in scatole, pancarrè, birre e Coca Cola e il governo Dini ottenne l’appoggio esterno. Subito dopo furono salamelecchi ed encomi per il buzzurro padano, considerato fascista e razzista fino a due minuti prima. D’Alema arrivò a giurare, ottobre ’95, che la Lega era «una costola della sinistra» e che tra sé e il leghismo c’era «una forte contiguità sociale».
Ora si assiste allo stesso interessato e spudorato corteggiamento. Il capo del Pd, Bersani è mellifluo: «Faccio un augurio alla Lega che questo appuntamento di Pontida l’aiuti ad andare a fondo del problema. Riflettano se è il caso di rilanciare sulla vecchia strada o cercare una strada nuova, come credo sia indispensabile». Cioè la virata a sinistra. Più chiaro il suo vice, Enrico Letta: «La Lega rimane con Berlusconi per il federalismo? È dimostrato che quello vero, realizzabile e concreto, siamo molto più in grado di farlo noi piuttosto che Berlusconi». E ancora: «La Lega è una forza politica importante e rappresentativa - dice sdolcinato Letta - che svolge un ruolo significativo in una parte del Paese». Tutti pronti a discutere con Bossi, adesso. Tutti insieme, come auspica Napolitano: «Non si deve aver paura di unirsi per perseguire i grandi obiettivi comuni».
Abbraccia il Senatùr persino - udite udite - il siculo Carmelo Briguglio, autorevole falco delle truppe di Fini. Zuccheroso il suo appello all’odiato ex alleato: «Bossi può diventare protagonista del cambiamento insieme a Fini e Casini, rifondando l’area politica e culturale del centrodestra italiano e dando vita a un governo di larghe intese a tempo, per ridisegnare l’architettura istituzionale dello Stato e adottare la ricetta Draghi per l’economia». Individua, poi, l’anello debole del leghismo governativo: «Maroni, Calderoli, Giorgetti, Zaia e Tosi, un ceto politico giovane e di grandi ambizioni - liscia il pelo Briguglio - vogliono davvero finire come pretoriani dell’ancien régime o essere attori dell’Italia post-berlusconiana? Non rimane ormai molto tempo per decidere».
Ma come? Fini e i finiani non hanno mandato a quel paese Berlusconi accusandolo di essere troppo sdraiato sulle posizioni del Carroccio? A Bastia Umbra, per esempio, il presidente della Camera gridò nel microfono che «per troppo tempo s’è sottovalutato l’egoismo strisciante e territoriale della Lega Nord». Venne giù il palazzetto. E ancora: «A loro non interessa nulla di ciò che accade sotto il Po... E questo è un governo in cui, piaccia o meno, l’iniziativa politica è della Lega». Per cui sbattè la porta e fece dimettere i suoi uomini dall’esecutivo. Insomma, ieri Bossi era un baluba della politica, un orribile egoista. Ora che ha in mano la pistola capace di sparare al premier è «il protagonista del cambiamento» e quindi «governiamo insieme». Con chi poi? Col terzo polo, ossia assieme a Casini, forse il più fiero, deciso e intransigente antifederalista che c’è in Parlamento. Le ultime pillole del leader Udc sul Carroccio: «È un partito parolaio che al Nord ha fatto solo chiacchiere».
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