Adesso vediamo se Prodi mantiene le sue promesse

Francesco Damato

Ora che ha vinto - una volta tanto con nettezza - il referendum contro la riforma costituzionale approvata dal centrodestra nella scorsa legislatura, Romano Prodi è chiamato a dimostrare di essere un uomo e non un pagliaccio. È tenuto, infatti, a rispettare l’impegno assunto con gli elettori di ridurre il numero dei parlamentari meglio e prima di quanto fosse stabilito nella riforma della quale ha chiesto e ottenuto l'affondamento referendario. In particolare, il presidente del Consiglio ha promesso di far tagliare il numero dei parlamentari di 230 deputati e di 115 senatori, contro i 112 deputati e i 63 senatori che sarebbero stati ridotti con la legge appena bocciata. In più, Prodi ha promesso di fare eleggere le nuove Camere di 400 deputati e 200 senatori già dalle prossime elezioni politiche, e non in occasione del secondo rinnovo del Parlamento, come previsto dalla legge approvata dal centrodestra. Che aveva dovuto fare realisticamente i conti con il conflitto d’interessi in cui si trovano sempre a decidere i parlamentari quando debbono ridursi competenze, seggi e compensi.
Per tenere fede alle sue promesse Prodi dovrebbe presentare al Parlamento in quattro e quattr’otto un disegno di legge di modifica costituzionale e produrre una versione inedita del suo schieramento, capace di ridurre drasticamente i costi della politica e non di aumentarli, come invece ha appena fatto moltiplicando i posti di ministri, vice ministri, sottosegretari, segretari di presidenza delle assemblee parlamentari e gruppi in deroga ai regolamenti. Non credo che Prodi e la sua avida maggioranza siano in grado di voltare pagina e offrire virtuose prestazioni. È vero che il presidente del Consiglio, nonostante la «lunga pausa di riflessione» reclamata dal presidente della Camera Fausto Bertinotti, ha annunciato di avere incaricato il ministro dei rapporti con il Parlamento Vannino Chiti di «avviare immediatamente i contatti con le forze politiche per impostare il dialogo sulla riforma della Costituzione e della legge elettorale». Ma è anche vero che egli ha lasciato annunciare dallo stesso Chiti che la prima iniziativa del governo sarà quella di proporre la modifica dell’articolo 138 della Costituzione per condizionare ogni revisione istituzionale alla maggioranza dei due terzi delle Camere.
L’obiettivo prioritario è quindi di eliminare il ricorso alla maggioranza assoluta, adottata sinora da entrambi gli schieramenti che si contendono e si alternano dal 1994 alla guida del governo. È una maggioranza che il segretario dei Ds Piero Fassino nella campagna referendaria ha abitualmente e sprezzantemente definito «semplice», dimostrando peraltro una grave ignoranza. Quella assoluta infatti è già una maggioranza speciale, o qualificata, essendo conteggiata sul plenum dell’assemblea e non sui presenti, come avviene invece per le leggi ordinarie e persino per le votazioni sulla fiducia. Con l’adozione obbligatoria della maggioranza dei due terzi la Costituzione verrebbe semplicemente blindata.

Le riforme diventerebbero impossibili, o quasi, come lo sono diventate l'amnistia e l’indulto da quando, nel 1992, l’articolo 79 della Costituzione fu modificato per condizionarne la legge di deliberazione alla maggioranza appunto dei due terzi, «in ogni suo articolo e nella votazione finale». Questa modifica peraltro è stata riconosciuta sbagliata dallo stesso Prodi, che ne ha proposto l’abolizione nel programma elettorale della sua cosiddetta Unione. Che soffre pertanto di schizofrenia politica.

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