Hollywood ogni tanto sa ancora sorprendere. Prendete il nuovo Predators di Nimrod Antal prodotto dal vulcanico Robert Rodriguez. Certo il soggetto non è propriamente una novità da quando, nel lontano 1987 con Predator di John McTiernan, Arnold Schwarzenegger ha dato volto, e soprattutto corpo, a un nerboruto agente della Cia in lotta con un’orrenda creatura venuta dallo spazio. Sono poi seguiti Predator 2 e, nel nuovo millennio, i due “apocrifi” Aliens vs. Predator, il primo addirittura con Raoul Bova. Ora per il nuovo film, che uscirà nel prossimo fine settimana negli States e in quello dopo ancora da noi, si è arrivati quasi al parossismo scegliendo Adrien Brody con un magrolino physique du rôle ma molto engagé: premio Oscar per Il pianista di Roman Polanski, che da tutta la vita svicola dal sistema delle major per cercare una sua retta via con registi di culto come Wes Anderson (Il treno per il Darjeeling), Peter Jackson (King Kong), M. Night Shyamalan (The Village), Terrence Malick (La sottile linea rossa), Kean Loach (Bread and Roses). Bene, oggi il trentatreenne attore newyorchese ha messo da parte il suo passato e la sua storia per tuffarsi in una pellicola vintage, con pochi effetti speciali e molta carne al fuoco (nel senso etimologico). Quasi un b-movie che però mantiene molto bene ciò che promette, e nel cinema d’oggi non è propriamente un dettaglio.
Domanda. Quella di Brody è una grande trasformazione attoriale? O è più semplicemente ciò che in Italia è conosciuto, sempre nel senso etimologico, come «film alimentare»? Adrien Brody, atterrato ieri a Roma per promuovere questa sua nuova prova d’attore, poteva scegliere una di queste due domande-risposta al quesito posto all’unisono da tutta la stampa. E cioè: che cosa ci fa uno come lui nel ruolo di un mercenario catapultato in un pianeta sconosciuto a capo di un gruppo di combattenti d’élite vittima di una nuova stirpe di predatori alieni? Con un curriculum lungo così, nonostante il recente flop del torero Manolete, Brody ha scelto - come potava essere altrimenti? - la linea dell’attore impegnato: «Tutti i ruoli sono una sfida e devi cercare di essere sempre credibile. La mia responsabilità è quella di far passare la verità, con connessioni e legami che consentano al pubblico di fare la stessa cosa». «Perché - ha aggiunto filosoficamente - quello che è interessante in questo film è che c’è un gruppo di combattenti che sulla terra sono predatori a pieno titolo ma che su quel pianeta diventano delle vittime, è una specie di espiazione, uno scenario affascinante quasi mitologico». Poi, da interprete navigato, ha parlato dell’immedesimazione rispetto ai quasi 15 chili presi: «Il mettere su i muscoli in un tempo relativamente breve non è cosa semplice, certo è stato più difficile privarsi delle calorie per Il pianista, ma più da un punto di vista emotivo che fisico».
Bene, bravo, bis. Infine il lungo fuori programma della sirena con messaggi di evacuazione per incendio - un falso allarme - nell’hotel che ha ospitato l’incontro con l’attore ha riportato quasi tutti con i piedi per terra. Tranne Brody che ha così proseguito: «Devi essere un po’ un camaleonte adattandoti a qualsiasi tipo di ruolo, ho cercato di far arrivare al pubblico questo eroe indurito dalle emozioni».
Sarà.
Sarà pure vero che, come dice lui, «se il film andrà bene al botteghino non mi dispiacerebbe girare il sequel». Fatto sta che il prossimo progetto è un canonico film drammatico e che intanto ha già fatto un’apparizione nel nuovo lavoro parigino di Woody Allen. Guarda caso un altro regista di culto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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