Nella progressiva eutanasia che il mercato dei dischi va infliggendo a se stessa, affidata in questi tempi prenatalizi ad una mortifera alluvione di live e best of, ci sta pure questo «nuovo» album degli Aerosmith, registrato dal vivo a Las Vegas quasi quattro anni fa. Indispensabile? Necessario? Utile? Non pare: il disco non svela nulla che già non sapessimo, a proposito di questa band così storica da sfuggire, ormai, alla cronaca, non fosse per la gagliarda sopravvivenza, negli anni, di certe sue caratteristiche: per esempio lirruenza brada, laureola maudite e lestro affabulatorio di Steven Tyler e dei suoi bravi. Che emergono quasi intatte, già nelliniziale Beyond beautiful, col canto convulsivo del leader, le chitarre incendiarie di Perry (grande) e Whitford, la ritmica eccitata di Hamilton e Kramer. Insieme però a più ambiziosi conati di musica «alta», o quasi: come del resto è tipico di tanto hard rock, incline da un lato allo scatenamento selvaggio e dallaltro a più meditate intenzioni compositive.
Così si colgono qua e là liquescenze pianistiche, slanci sinfonici, echi di jazz e di danza popolare, squarci lirici (I dont want to miss a thing) non privi di seduttività.Aerosmith - Rockin the joint (Sony Bmg)
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