L’accusa è quella di sempre: è entrato nella nostra area senza permesso. Dunque è una spia. Di chi? Ma degli americani, o degli inglesi, ovvio. Ma è italiano, fa il giornalista da una vita; lo conoscono tutti, nel mestiere, gli è certamente stato fatto osservare. Lavora in un importante quotidiano romano. Be’, che differenza volete che faccia, per un conducente di muli afghano?
Così, con questa accusa ridicola - spionaggio - i talebani che spadroneggiano nella vasta regione meridionale dell’Afghanistan che ha in Kandahar la sua roccaforte (di lì veniva il mullah Omar, il capo degli studenti coranici) hanno sequestrato il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo e due afghani (l’autista e l’interprete) che lo accompagnavano.
È accaduto nella zona di Nad Ali, nella provincia di Helmand, papaveri da oppio à gogo, proprio dove le forze della Nato dicono di avere già sferrato la prima battaglia di primavera. E lui, Daniele, che sul finire della settimana aveva trasmesso uno dei suoi reportage dal sud del Paese, era diretto proprio lì, come prevede, e prescrive, il mestiere che fa. Cercava dei capi talebani, magari qualcuno che lo conducesse il più vicino possibile al mullah Omar, che da quando partì in moto da Kabul, insieme con Osama Bin Laden, è sparito dalla circolazione.
Al suo giornale, a Roma, dove la vicenda di Mastrogiacomo viene naturalmente seguita passo passo, d’intesa con la Farnesina, non hanno più notizie di Daniele da domenica sera. Ma fino a ieri mattina si sperava che il catturato non fosse lui. All’inizio, infatti, fonti talebane avevano parlato di un cittadino britannico. Poi di un britannico che lavora per un giornale italiano. E saranno stati i capelli biondi e gli occhi azzurri di Mastrogiacomo. Insomma, si è capito presto che la Britannia non c’entrava, e che il rapito aveva l’italianissimo nome dell’inviato di Repubblica.
Un portavoce dei talebani, tale Qari Mohammad Yousuf, rintracciato al telefono satellitare ha detto che il giornalista ha confessato di essere una spia. «Fingeva di essere un giornalista - avrebbe detto il tanghero, citato dall’agenzia Reuters - ma quando abbiamo indagato abbiamo scoperto che lavorava per le forze britanniche».
Dettagli sulla cattura di Mastrogiacomo non se ne conoscono. Ma queste storie si somigliano tutte. Un agguato, un check point volante ci vuol niente a metterli in atto. E con un mitra in mano tutto diventa facile, quando dall’altra parte c’è solo un giornalista armato di penna e taccuino.
I viceministri degli Esteri Ugo Intini e Franco Danieli, riferendo alla Camera e al Senato, hanno assicurato che l’Unità di crisi, insieme con la nostra ambasciata a Kabul, stanno seguendo 24 ore su 24 l’evolversi della vicenda nella speranza di riuscire a stabilire un contatto con i rapitori.
Quanto è avvenuto, diceva ieri l’ex ministro della Difesa Antonio Martino conversando con i giornalisti alla Camera, conferma «la gravità della situazione in Afghanistan. La missione militare in quel Paese non sarà né breve né facile ma questo non significa che non sia necessaria. Anzi è interesse di tutta la comunità internazionale che questa abbia successo».
I familiari di Mastrogiacomo, intanto, vivono ore di apprensione. Se il figlio, intervistato da Sky Tg24, dice che il giornalista non era preoccupato quando lo aveva sentito l’ultima volta al telefono pochi giorni fa, il fratello Alessandro ammette di non sapere «molto più di quello che si sente dai telegiornali; siamo molto preoccupati, ma lui è molto esperto e spero che venga fuori al meglio da questa situazione».
Prima di Daniele Mastrogiacomo altri due italiani sono stati rapiti in Afghanistan.
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