Afghanistan, liberi ma non ancora salvi gli 007

A Farah il blitz per liberare i due militari del Sismi: entrambi sono rimasti feriti, ma uno è grave. Tutti morti i nove sequestratori. Il lavoro dei nostri agenti segreti

Afghanistan, liberi  
ma non ancora salvi gli 007

Una bella operazione dicommando, come se ne vedono al cinema, dove tutto finisce bene e i nemici restano a faccia in giù, nella polvere. Un blitz «pianificato e diretto » da noi italiani. Con gli elicotteri che arrivano veloci come manguste sull’obiettivo quando non è ancora giorno e gli incursori con la faccia pittata con i colori di guerra e il colpo in canna prima ancora di toccar terra. Un solo obiettivo: liberare gli ostaggi, spazzar via ogni tentativo di resistenza. Avanti, sulla prima linea di fuoco, gli inglesi dello Special Air Service (Sas) e dello Special boat service (gli altrettanto temibili Sbs).

Immediatamente dietro, col compito di spazzar via le sentinelle che montavano la guardia alla prigione, due dozzine di incursori del Col Moschin e i Comsubin della Marina. Mica perché siamo meno bravi degli inglesi, noi stavamo dietro. Sia chiaro. È la procedura, ed è giusto che sia così. Perché se «fuoco amico» ci deve essere (succede, in operazioni del genere) è sommamente antipatico che un ostaggio resti ferito dalla pallottola di un connazionale. «Amico», cioè, ma non fino a questo punto. Di diverso, rispetto a quel che si vede al cinema, dove tutto finisce in gloria, è il bilancio complessivo dell’operazione.

I due funzionari del Sismi, il servizio segreto militare, catturati sabato vicino a Shindand, nella provincia di Herat sono liberi, ma feriti. Erano ammanettati. I loro sequestratori li avevano appena stivati nel bagagliaio di un’auto, nella zona di Anar Dareh, provincia di Farah, quando si è scatenata la pioggia di pallottole. Uno dei due ha rimediato la frattura di una spalla e della clavicola: una sciocchezza, per così dire. L’altro è ferito seriamente, alla testa e al torace. Morto è uno dei loro accompagnatori afghani, libero l’altro. Tutti morti, ed erano in nove, sul versante dei predoni. Illesi gli uomini del commando. Sono stati i loro aguzzini a sparare agli italiani, immediatamente prima di essere fulminati. Questa è e resterà la versione ufficiale. E ce la terremo buona.

L’intelligence della Nato sospetta che gli italiani, in missione per contattare un capo tribù locale, siano stati traditi da un cialtrone della polizia afghana, che sapeva dov’erano diretti i nostri. Certo è che gli investigatori afghani sapevano dove andare a cercare. Il resto l’han fatto i satelliti che hanno pizzicato le tracce dei cellulari usati dai banditi e un aereo senza pilota, un Predator, che aveva «illuminato» le due case in cui gli ostaggi erano stati temporaneamente accomodati, prima di essere avviati a sud, verso la provincia di Helmand, per essere «venduti» ai talebani che ci avrebbero montato la loro bella speculazione politica.

Il blitz si è consumato proprio nel momento in cui il convoglio con le due prede italiane si stava mettendo in marcia verso sud. Secondo l’agenzia afghana Pajhwok, in manette è finito il mullah Khuda-i-Dad, il mozzorecchi ritenuto responsabile del sequestro. Con lui, altri sei o sette tagliagole che tenevano bordone al mullah. Criminali comuni, ad ogni buon conto, come si era sospettato fin dal primo momento. «Autonomi», per usare la definizione del ministro della Difesa Arturo Parisi che ieri pomeriggio ha riferito in Parlamento sull’esito del blitz. Un colpo di mano, dicono fonti della nostra intelligence, che si sarebbe potuto fare anche nella giornata di domenica, visto che fin da allora il nostro comando a Herat sapeva con precisione dov’era la prigione dei sequestrati.

Le condizioni di luce, la prudenza, e il necessario raccordo fra tutte le forze impegnate hanno consigliato di rinviare di qualche ora l’operazione. «Soddisfazione» è la parola usata da Parisi alla notizia della liberazione. Soddisfazione e «apprezzamento per chi si è impegnato in queste ore, ma anche trepidazione per le sorti dei due feriti, due italiani speciali che erano stati mandati là dalla Repubblica ». Sul blitz, per ovvie ragioni legate al segreto militare, Parisi non ha fornito molti particolari, confermando però che gli ostaggi stavano per essere trasferiti nel sud talebano e che l’operazione «ha visto il contingente italiano in prima linea sia nella direzione che nella predisposizione» dell’attacco.

Un’azione più che mai necessaria, ha spiegato dal canto suo anche il ministro degli Esteri Massimo D’Alema. I due militari «erano in pericolo di vita imminente - ha affermato - e non c’era nessuna alternativa al blitz per la liberazione ».

Un intervento «molto impegnativo - ha aggiunto infine il ministro Parisi - che ha messo alla prova la capacità dei nostri militari e la solidarietà dell’Alleanza». Non inutile, visti gli attacchi che alla nostra presenza in Afghanistan vengono dall’estrema sinistra, è parso al ministro ricordare che la missione va avanti.

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