Sarà dura, ma non sarà per sempre. Sarà sanguinosa, ma non si vincerà solo con la forza delle armi. Barack Obama lo dichiara domenica sera, Richard Hoolbroke, l’inviato speciale per questioni afghane e pakistane, lo ripete ieri a Bruxelles al segretario generale Jaap de Hoop Scheffer e agli ambasciatori Nato riuniti in vista della Conferenza sull’Afghanistan del 31 marzo all’Aia e del vertice dell’Alleanza Atlantica del 5 aprile. «Quello che andiamo cercando - spiega domenica sera il presidente in un’intervista televisiva - è una strategia complessiva... una strategia in grado di garantire una via d’uscita, dobbiamo diffondere la sensazione che questo non sarà un impegno perpetuo».
Obama vuole, insomma, definire tempi ed obbiettivi dell’impegno afghano e al tempo stesso trasformare l’intervento in una sfida a tutto campo basata non soltanto sulla forza delle armi. «Dobbiamo smetterla – ripete Obama - di pensare che un approccio puramente militare possa risolvere i nostri problemi».
Il problema è capire come. Un primo delicato intervento potrebbe riguardare quel presidente afghano Hamid Karzai trasformatosi da miglior amico dell’Occidente in corrotto ed imbarazzante alleato. Secondo le indiscrezioni riportate dal quotidiano inglese The Guardian l’amministrazione americana avrebbe già pronto un piano per far emergere la figura di un primo ministro da affiancare al discusso e impresentabile presidente. Il nuovo «vicerè» scelto da Washington e dalla Nato diventerebbe, in pratica, l’unico terminale degli aiuti militari ed economici, mentre Karzai verrebbe abbandonato al proprio destino. Ora però bisogna capire come scegliere quel nuovo e fidato vicerè. A Kabul il primo a farlo notare è Humayun Hamidzadeh, portavoce del traballante Karzai. «Introdurre un primo ministro in un Paese dove la Costituzione prevede un sistema presidenziale – fa notare il portavoce - è semplicemente impossibile». A Washington l’imbarazzato portavoce Robert Wood si limita a ricordare che il Dipartimento di Stato «non designa i primi ministri dei Paesi sovrani».
Il problema Karzai è, in verità, soltanto una delle tante questioni ancora irrisolte nell’ambito della nuova strategia disegnata dai consiglieri di Obama. L’altra fonte d’aspri dissidi è la proposta avanzata da alcuni ex consiglieri per la sicurezza nazionale come Brent Scowcroft e Zbigniew Brzezinski di pagare, sulla falsariga di quanto fatto in Irak, i capi e i gruppi talebani più moderati, per favorirne la defezione. Per il Pentagono e per alcuni consiglieri della Casa Bianca la ripetizione dello schema iracheno è inappropriata, perché rischia di venir interpretata come il tentativo, visti i legami tra talebani e Osama Bin Laden, di scendere a patti con Al Qaida. A render più complessa una reiterazione delle tattiche irachene contribuiscono i capitali del narcotraffico. Le ingenti somme generate dai commerci di droga controllati dai talebani rischiano, in tempo di crisi e di svalutazione, di rendere assai esosa una strategia basata sul denaro per conquistare i favori degli eventuali capi scissionisti.
L’aspetto più costoso della nuova strategia riguarderà però l’ampliamento di forze di sicurezza afghane destinate a passare dagli attuali 90mila militari e 80mila poliziotti ad un totale di 400mila effettivi. Solo così, secondo gli esperti, a sarà possibile garantire la sicurezza e il ritiro dei contingenti internazionali.
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