Maurizio Landini ha scelto ancora la strada della piazza. Il 12 dicembre la Cgil scenderà in sciopero contro la manovra economica, da sola, senza Cisl né Uil. Una rottura netta con il resto del sindacalismo confederale, nel nome di un conflitto permanente con il governo. Il messaggio è chiaro: la Cgil non dialoga con chi considera "nemico", anche se quel governo rappresenta milioni di elettori e resta l'interlocutore naturale di un sindacato che dovrebbe occuparsi di lavoro, non di ideologia.
La Cgil non ha firmato i contratti del pubblico impiego, eppure i lavoratori (dalle funzioni centrali agli enti locali a scuola e sanità) beneficeranno comunque degli aumenti medi tra il 6 e il 10% ottenuti grazie agli accordi siglati da Cisl e Uil. Il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo lo ha detto chiaramente. "La Cgil non firma perché è contro di noi", ha dichiarato. Non per una questione di merito, ma per pregiudizio politico. E questo, nel mondo del lavoro, ha un prezzo alto: anni di ritardi, rinnovi bloccati, salari fermi, mentre altri sindacati scelgono la via della contrattazione. La Cisl, ad esempio, ha appena siglato le intese su enti locali e scuola e ha convocato per il 13 dicembre una manifestazione di segno opposto, per rilanciare un "patto della responsabilità" fra governo e parti sociali. Daniela Fumarola parla di "alleanza per la crescita e la produttività". Dalla Cgil, invece, arrivano solo barricate.
Il paradosso è che Landini accusa la manovra di "non aumentare i salari", ma si rifiuta di sedersi al tavolo dove gli aumenti si negoziano. È il sindacato che protesta contro gli stipendi bassi mentre rifiuta di trattare per alzarli. E intanto rilancia vecchie ricette come la patrimoniale, applaudita dal Pd di Elly Schlein e dal M5s: proposte che piacciono alla sinistra politica, non ai lavoratori. "Chiediamo un contributo dell'1% ai più ricchi", ha spiegato Landini. Ma quel linguaggio è più da comizio che da piattaforma sindacale.
Da mesi (ma sarebbe meglio dire da anni) Confindustria e Bankitalia invocano un "patto per la produttività", invitando tutti - sindacati inclusi - a un tavolo comune per rilanciare salari e crescita. "Non può esistere crescita senza quella dei redditi dei lavoratori", ripete sempre il presidente Emanuele Orsini. Anche il governatore Fabio Panetta ha parlato di un "programma europeo di riforme condivise". Ma la Cgil non c'è. Non vuole esserci. Troppo comodo restare sul palco, gridare alla disuguaglianza e rifiutare il confronto reale.
Negli ultimi anni Corso Italia ha trasformato ogni vertenza in un atto politico, dimenticando che il sindacato vive di risultati, non di slogan. Mentre altri firmano contratti e portano aumenti in busta paga, Landini preferisce il megafono alla trattativa, come se l'obiettivo non fosse migliorare le condizioni dei lavoratori ma misurare la forza della propria opposizione. Così Landini continua la sua battaglia solitaria, più politica che sindacale, inseguendo l'estrema sinistra dell'Usb e la retorica della piazza permanente. Gli scioperi per Gaza, gli appelli alla "lotta per la pace", i cortei contro la manovra: tutto si tiene in una logica di opposizione ideologica. Ma che cosa rimarrà di questa stagione? Una Cgil che parla come un partito e agisce come un movimento, dimenticando che il suo compito non è abbattere i governi, ma difendere i lavoratori.
Intanto chi lavora aspetta. E chi fa sindacato davvero - come la Cisl e, in parte, la Uil - lavora per ottenere gli aumenti.
Landini invece resta prigioniero del suo ruolo politico, convinto che lo sciopero sia una forma di opposizione e non uno strumento per trattare. "Lo sciopero, la rivolta sociale e la lotta per la pace sono la stessa cosa", ha detto di recente. Ma nessuno paga le bollette con le parole d'ordine.