"Rifiutai di guidare Forza Italia. Ma per Berlusconi avrei lavorato"

Nel libro di Casini i retroscena del rapporto col Cavaliere e l'analisi dei suoi meriti politici

"Rifiutai di guidare Forza Italia. Ma per Berlusconi avrei lavorato"

Bisogna riconoscere che in Italia si è profondamente radicata una concezione distorta del bipolarismo, vissuto non come confronto tra progetti alternativi, ma come scontro permanente tra gli estremi, dove chi urla più forte sembra avere più ragione e dove comunque le formazioni più estreme dell'una e dell'altra parte esercitano un condizionamento ideologico costante sull'intera coalizione.

Questo purtroppo vale per la maggioranza e per le opposizioni di turno e prescinde dal dato numerico e quantitativo dei partiti.

Poiché le coalizioni sono il più delle volte sommatorie aritmetiche, nulla si può perdere e tutto va sacrificato alla "causa quantistica": il bipolarismo diventa dunque una guerra ideologica e non un'opportunità di crescita imperniata su progetti alternativi.

Esattamente l'opposto di quanto capita nei maggiori Paesi europei dove le forze moderate di destra e di sinistra sono ben attente a non farsi contaminare dagli estremismi o, per lo meno, a ridurre al minimo queste contaminazioni.

Berlusconi, in questo scenario, ha rappresentato per molti un alibi: imperniando su di sé ogni leadership, il centrodestra ha a lungo rinviato la maturazione di una cultura liberaldemocratica di cui avrebbe dovuto essere depositario. Era lui a catalizzare il consenso, a risolvere i problemi, non ultimi quelli di natura finanziaria, a incarnare il necessario carisma; di fatto, paradossalmente, emergeva l'inutilità dei partiti.

Dopo il crollo dei partiti tradizionali, si è dunque pensato che non fosse necessario rifondarli. È stato un errore grave, il primo e forse il più importante commesso da Berlusconi. Ricordo chiaramente il nostro ultimo incontro ad Arcore, durante il quale lo ammise esplicitamente. Quando Forza Italia entrò nel Partito Popolare Europeo, con il sostegno di Kohl e anche il mio, sperammo che potesse diventare una sorta di nuova Democrazia Cristiana e che lo spazio lasciato dall'indeterminatezza di contenuti fosse colmato dalla supplenza del PPE.

Ma così non fu: Forza Italia restò un partito personale.

Quando nel 1994 Berlusconi mi propose di guidare Forza Italia, nel corso di un incontro nella sua residenza che allora era in via dell'Anima, rifiutai. Gli dissi: "Silvio, quando lascerò la politica, lavorerò volentieri con te, ma finché faccio politica, voglio restare libero in casa mia". (...)

La mia polemica con Berlusconi li rassicurava sul fatto che sarei comunque stato all'opposizione. E non sbagliavano. Quella sera ebbi la conferma di una percezione che avevo già maturato per via di alcuni episodi marginali che mi erano capitati durante la campagna elettorale: la mia proposta intercettava non solo voti in uscita dal centrodestra, ma anche una parte significativa dell'elettorato di centrosinistra.

Dopo il voto, l'Istituto Cattaneo confermò questa intuizione: la maggioranza dei consensi raccolti dal mio partito arrivava più dal centrosinistra che dal centrodestra.

Con un pizzico di ironia, potrei dire che Berlusconi fu diabolico nel calcolare che poteva fare a meno di me perché, correndo da solo, avrei sottratto più voti alla coalizione avversaria che alla sua. E i fatti gli diedero ragione. (...)

Detto ciò, il mio giudizio su Berlusconi è squisitamente politico. Dal punto di vista della capacità di tenuta e dell'intuito strategico, è stato un gigante. Ha saputo resistere, nel bene e nel male, per quasi vent'anni. E dopo essere stato estromesso dal Parlamento a seguito di una condanna definitiva, vi è tornato in tempi sorprendentemente brevi: un caso di "rieccolo" che farebbe impallidire perfino Fanfani.

Ma ciò che considero il tratto più rilevante del suo percorso è l'abilità con cui ha saputo offrire una nuova rappresentanza politica a quegli elettori orfani dei partiti laici e della Democrazia Cristiana. Questo è stato il suo vero colpo di genio. Aveva capito che quella parte di Paese non era disposta ad andare a sinistra: l'Italia, in assenza di un centro forte capace di trainare e di rassicurare, tende a scegliere la destra.

Berlusconi ha colto il vuoto lasciato dalla DC, incapace di riposizionarsi a causa delle proprie contraddizioni interne, e ha costruito un'offerta politica inedita.

Nel momento in cui Martinazzoli esitava e mostrava incertezze egli è sceso in campo; ha infranto tabù e ha stretto un'alleanza al Nord con la Lega e al Sud con Alleanza Nazionale.

Ricordo bene quando mi illustrò questo progetto: gli dissi che era fuori dal mondo, che era, sì, un grande imprenditore ma incapace di capire la politica. In realtà, gli eventi mi hanno smentito e dato ragione al Cavaliere: ciò che aveva previsto si è puntualmente avverato. (...)

Berlusconi, insomma, è stato un insieme di molte cose. Ma ha avuto anche meriti importanti. Uno, ad esempio, è stato quello di aver disinnescato la spinta separatista della Lega Nord trasformandola in un movimento federalista: il secessionismo radicale dei primi anni Duemila, evocato da Bossi, fu ricondotto da Berlusconi entro confini più istituzionali. Inoltre, ha mantenuto sempre Forza Italia saldamente nell'alveo del Partito Popolare Europeo, in linea con l'eredità di Kohl e poi della Merkel: una scelta non scontata, rilevante sul piano del posizionamento internazionale.

Berlusconi è stato autore di dichiarazioni istituzionalmente discutibili, ma ha saputo anche sorprendere in alcuni momenti: basti pensare al suo discorso a Onna, in cui riconobbe nel 25 aprile il fondamento di un'Italia democratica che vede nella Resistenza e nella lotta al fascismo una premessa fondamentale.

È stato un leader complesso, capace di affermazioni forti ma del loro opposto, come accade spesso ai grandi protagonisti della politica. In un certo senso, ha rappresentato una continuità con la Prima Repubblica, della quale peraltro non era stato uno spettatore insignificante ma un protagonista assoluto come imprenditore televisivo.

Attorno a lui, del resto, agivano figure significative come Gianni Letta, uomo di sistema e dell'establishment e suo sottosegretario, Fedele Confalonieri, ambasciatore nei salotti della finanza e dell'economia italiana: entrambi diffusamente stimati (anche da me!). (...)

Berlusconi, dunque, non ha costituito una minaccia alla democrazia come molti temevano, ma non è stato in grado di risposte definitive alle grandi questioni che il nostro Paese aveva di fronte, pur avendo avuto il

merito di mantenere l'Italia saldamente ancorata sia al quadro europeo che a quello atlantico.

Le attese e speranze, suscitate in origine dal suo progetto politico, sono state però in gran parte disattese nel corso del tempo.

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