La Nato si ritira dall’Afghanistan? La prima provincia che passerà sotto il controllo delle forze di sicurezza locali sarà quella di Herat, regione sotto il controllo italiano nella parte occidentale del Paese. Probabilmente succederà già a febbraio o a marzo, secondo una mappa preparata dal comandante della missione a Kabul, il generale David Petraeus. Lo ha rivelato ieri il quotidiano inglese Times.
Ognuna delle 34 province afghane sulle nuove cartine americane è stata evidenziata con un colore che va dal verde al grigio, a seconda degli obiettivi. Quella di Herat è in verde e dovrebbe inaugurare la via d’uscita dall’Afghanistan. Non certo un ritiro precipitoso, ma un disimpegno sul terreno che lascerà la gestione della sicurezza agli afghani. Le province «grigie» sono quelle più a rischio e fanno parte della «cintura pasthun» al confine con il Pakistan: Helmand, Kandahar, Uruzgan e Kunar, principale serbatoio della guerriglia talebana.
Il generale americano porterà la mappa al vertice della Nato di Lisbona il 19 novembre, che dovrà ufficializzare il graduale disimpegno dall’Afganistan. «In realtà la provincia di Herat è già in gran parte nelle mani degli afghani», spiega al Giornale una fonte militare italiana. Nel capoluogo provinciale i nostri soldati non pattugliano le strade. Una compagnia di alpini appoggia le guardie di frontiera al confine con l’Iran e i carabinieri addestrano le unità antiterrorismo della polizia ad Adraskan. A fianco dell’aeroporto c’è Camp Arena, dove si trova il comando del settore Ovest della Nato a guida italiana, ma la provincia è relativamente tranquilla. Soltanto a Sud, vicino a Shindad, la famigerata valle di Zerko, terra di oppio e talebani, è una spina nel fianco. Venerdì scorso sono rimasti feriti due alpini a causa di trappole esplosive. Non a caso abbiamo impiantato in zona un gruppo di battaglia, che nell’ultimo anno ha ridotto di molto il focolaio di tensione.
Nelle aree dipinte di verde, come quella di Herat, la sicurezza afghana avrà piena responsabilità in un tempo massimo di sei mesi. Secondo il Times «dei 300 distretti afghani, almeno due terzi possono passare al controllo locale senza grossi rischi». A patto che i soldati della Nato siano pronti a intervenire in caso di necessità.
I problemi più evidenti riguardano nove province. Per quelle dipinte in grigio ci vorranno più di due anni per passare il testimone agli afghani. Altre regioni sono etichettate con il giallo o l’arancione , come Farah, fronte Sud dello schieramento italiano. Per le «rosse» sono previsti altri due anni di operazioni della Nato. Non è un caso che a Farah abbiamo due task force. L’ultima, composta da circa 400 uomini, ha preso possesso in settembre della basi Lavaredo, Ice e dell’avamposto di Buij fra Bakwa e la valle del Gulistan. La zona più ostica, dove i soldati italiani controllano ben poco. Negli ultimi sei mesi i nostri militari impegnati in Afghanistan hanno subito oltre 200 attacchi fra scontri a fuoco, trappole esplosive e attentati suicidi. Entro la fine dell’anno il contingente arriverà a 4mila uomini, compresi i carabinieri che addestreranno le forze di sicurezza afghane. Sul fronte Nord, nella provincia di Badghis, abbiamo creato una bolla di sicurezza di una ventina di chilometri attorno a Bala Murghab. Bisogna, però, ancora liberare dai talebani ed asfaltare l’ultimo pezzo della Ring road, l’arteria circolare che percorre tutto il Paese. La buona notizia è che un famoso capo bastone degli insorti sarebbe disposto a trattare un’onorevole pacificazione.
Le province «gialle» e «arancioni», come quella di Farah, dovrebbero passare agli afghani in un periodo fra i 18 e i 24 mesi. La prossima primavera torneranno a Herat i paracadutisti della Folgore, che dovranno per prima cosa affrontare il vespaio del Gulistan dove si annidano pure cellule di Al Qaida.
Il generale Petraeus ha preparato la colorata mappa per rendere chiara l’idea che la transizione afghana comincerà il prossimo anno, come vuole il presidente americano Barack Obama, ma sarà lunga e delicata.
A fine 2010 la Nato avrà nel Paese circa 150mila uomini, lo stesso numero dell’invasione sovietica del 1979. Il prossimo anno gran parte dei reparti combattenti nelle province meridionali, a cominciare dai marine, resteranno sul posto. Se tutto andrà bene si comincerà a vedere la luce in fondo al tunnel verso il 2014.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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