Gian Micalessin
La chiamano «irachizzazione», ma è semplicemente lAfghanistan dei talibani che rialza la testa. LAfghanistan dove da mesi divampa la spietata offensiva fondamentalista contro le forze del contingente internazionale. È incominciata a sud, ma tracima in quelle province dove i gruppi radicali possono muovere cellule in grado di colpire le truppe straniere. Ieri mattina è toccato agli italiani. Un altro ordigno comandato a distanza. Un altro veicolo colpito in pieno. E il timore di nuovi caduti. Come il 5 maggio quando un ordigno uccise due alpini e ne ferì altrettanti. Ma stavolta, per fortuna, niente morti. Solo quattro feriti, due dei quali con leggere contusioni. Il più serio ha una brutta frattura alla tibia, ha perso molto sangue da unarteria lacerata ed è in prognosi riservata, ma i bollettini medici in arrivo dallospedale di Baghram assicurano che non è in pericolo di vita.
Succede poco dopo le nove di mattina, a sud di Herat, in una zona di quello sperduto comando regionale occidentale dellIsaf a guida italiana. Sette mezzi di marina ed esercito si muovono nei pressi di Farah. La zona non è sicura. A coprire lavanzata cè un Torpedo Vm 90 con a bordo quattro ufficiali e sottufficiali del Comsubin, le truppe delite della Marina. Il capo di prima classe Stefano Pella, il sergente Ciro Fujani e il sergente Michele Spanu, sotto la guida del tenente di vascello Luigi Romagnoli, sono l«occhio» del convoglio, devono individuare eventuali minacce e, se necessario, ingaggiare il nemico senza dargli il tempo di colpire gli altri mezzi. Ma il nemico è invisibile. Una bomba sotterrata in una buca della strada, un detonatore collegato a un telefonino, un esecutore con il dito sul pulsante nascosto a qualche centinaio di metri. Il tenente Romagnoli e i suoi non si rendono conto di nulla, volano in aria, vengono sbalzati dal mezzo. Ma lordigno, per fortuna, non è abbastanza potente o non esplode al momento giusto. Quando polvere e fumo si diradano il capo Stefano Pella e il sergente Ciro Fujani sono a terra, si lamentano. Pella è il più grave. Perde molto sangue, ha una frattura esposta alla gamba, una lesione allarteria, una frattura allo zigomo. Fujani ha braccio e spalla disarticolati, il bacino e un calcagno fratturato. Romagnoli e Spanu hanno solo qualche graffio. Il resto del convoglio perlustra la zona, i responsabili radio chiedono linvio di un elicottero di soccorso, gli infermieri stabilizzano Pella. In serata i comunicati dellospedale di Baghram tranquillizzano tutti. Cè la prognosi riservata per la complessità della frattura e la lesione allarteria, ma non cè pericolo di vita e il flusso arterioso è stato ripristinato. Anche Fujani non desta preoccupazioni, mentre gli due incursori, curati allospedale da campo di Herat, torneranno tra breve ai posti di combattimento.
A Roma il ministro della Difesa Arturo Parisi parla di «ridimensionata natura dellattentato» e minimizza laccaduto. «Queste situazioni rientrano - secondo il ministro - nel tipo di missione svolta in quellarea. Queste iniziative non possono non incontrare lostilità delle componenti terroristiche che agiscono in quella zona, senza le quali sarebbe anche ingiustificata la missione stessa».
Lo scampato pericolo non significa la fine dellallarme. Il capitano Giancarlo Ciaburro, portavoce del contingente italiano ad Herat, esclude «un attacco diretto esplicitamente contro i militari italiani» e parla di generico tentativo di colpire un convoglio Isaf. Ma la sicurezza, è chiaro, si va deteriorando. I rapporti dellintelligence italiana lo sottolineano da tempo. Qualche settimana fa il Sismi segnalava imminenti attacchi suicidi alle ambasciate ed attentati con ordigni esplosivi improvvisati. Proprio quanto è successo ieri fra Kabul e Farah.
Dopo aver segnalato la «possibile intensificazione dellattività terroristica contro Coalizione internazionale e Isaf» il Sismi faceva notare linevitabile «maggiore esposizione del contingente italiano». Secondo i servizi la sicurezza della regione di Herat dipende dallequilibrio tra cinque gruppi tribali in continua lotta per il controllo della zona e delle sue principali risorse, tra cui la coltivazione e il traffico di droga. Il tentativo di ostacolare queste attività rischia di generare una reazione diretta o di facilitare linfiltrazione di forze estranee legate ai talebani.
Lanalisi, oltre a far notare il rischio di scontri a fuoco tra opposte fazioni, segnalava il rischio di attacchi alle nostre pattuglie messi a segno da gruppi anti coalizione con limpiego di attentatori suicidi o ordigni telecomandati identici a quello utilizzato ieri mattina per colpire i quattro incursori italiani del Comsubin.
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