Una trappola esplosiva ha ferito tre militari italiani in Afghanistan, ma i soldati colpiti non sono in pericolo di vita. L’attentato è avvenuto nell’oramai famigerata provincia di Farah, quella più meridionale controllata dal contingente italiano, nella zona ovest del Paese. Sei veicoli Lince, i nuovi mezzi con una blindatura migliore, stavano effettuando la solita missione di ricognizione lungo la Ring road, il nome in codice della strategica arteria che collega Kandahar, l’ex capitale spirituale dei talebani, a Herat, sede del comando italiano del generale degli alpini Fausto Macor.
«Uno dei mezzi è stato investito da un’esplosione», spiega da Herat il capitano Andrea Salvador, portavoce del contingente italiano. Deve essersi trattato della classica Ied, una trappola esplosiva comandata a distanza, che i talebani stanno rendendo sempre più micidiali, grazie alle tattiche copiate dall’Irak. «Non c’è stato alcun contatto» sottolinea Salvador, ovvero nessuno scontro a fuoco con i guerriglieri. L’esplosione ha ferito tre militari italiani, che appartengono ai corpi speciali della Task force 45, oppure alla Forza di reazione rapida, di stanza a Herat, che pattuglia le zone più ostili. Elicotteri spagnoli hanno subito organizzato un’evacuazione medica e i feriti sono stati trasportati all’ospedale dell’omonimo capoluogo di provincia gestito dagli americani. Il capitano Salvador ci tiene a specificare che i militari italiani «non sono in pericolo di vita. Risultano stabili, coscienti e in buone condizioni generali».
La zona dell’attentato è quella critica a sud est della provincia di Farah. Il 22 agosto un altro convoglio italiano in pattuglia ha ingaggiato uno scontro a fuoco con una trentina di talebani, che hanno lanciato anche razzi Rpg. L’attacco è avvenuto a Daulat Abad, in uno dei distretti più pericolosi sotto il nostro controllo. A dar man forte alle truppe a terra sono arrivati anche gli elicotteri d’attacco Mangusta del 5° Rigel giunti da poco a Herat. Nella stessa zona gli italiani erano stati attaccati il 30 luglio. Secondo informazioni di intelligence, la provincia di Farah «è diventata quest’anno uno dei fronti più caldi del conflitto in Afghanistan».
Secondo i dati riservati in possesso de Il Giornale la zona ovest, dove sono impegnati gli italiani, ha subito un considerevole aumento di azioni ostili. A giugno erano una decina, ma a luglio e agosto sono balzati a 20-25 ogni mese. Dall’inizio dell’anno, nella sola provincia di Farah, sono stati registrati una sessantina di attacchi, compresi sei attentati kamikaze. In cinque casi sono stati presi di mira i convogli umanitari, con una trentina di vittime fra i civili. La stessa Herat, sede del comando, viene colpita da lanci di razzi ogni due-tre settimane. Pochi giorni fa gli uomini dell’Nsd, i servizi afghani, hanno catturato un terrorista suicida, pronto a farsi esplodere con il giubbotto minato che aveva indosso, proprio a Herat, nell’area di Darab e Malik. Secondo l’intelligence, «i talebani che si erano spostati dalle province dove i combattimenti erano più intensi, come quella di Helmand, ora dimostrano di aver messo in piedi una rete più organizzata e consolidata» nella zona degli italiani.
Ieri in Afghanistan sono stati almeno cinquanta i talebani uccisi in tre distinti attacchi sferrati dalle truppe della missione Enduring freedom a guida Usa, che procede in maniera parallela e spesso troppo autonoma rispetto all’impegno della Nato. I soldati americani, con l’appoggio dell’aviazione, hanno attaccato dei covi dei ribelli in villaggi a ridosso del poroso confine con il Pakistan nella provincia meridionale di Ghazni, dove i talebani avevano liberato da poche ore i 19 ostaggi sudcoreani superstiti.
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