Afghanistan, troppi brogli: si va al ballottaggio

Karzai non ha vinto le elezioni in Afghanistan. O meglio: ha vinto ma senza superare la soglia del 50%, come si pensava finora, per una ragione semplice e in fondo per nulla sorprendente. Ha barato, truccando i risultati in 210 seggi, come ha certificato ieri la Commissione per i reclami, sostenuta dall'Onu, che ha presentato il rapporto sul riconteggio parziale dei voti. Un librone nero, denso di cifre, testimonianze, ricostruzioni e, soprattutto prove: in alcune urne sono state trovate schede scritte con la stessa penna o marcate con un identico segno e in certi seggi la partecipazione è risultata del 100%.
Un librone che ora imbarazza lo stesso Karzai e la coalizione occidentale guidata dagli Stati Uniti, in un Paese in cui i talebani appaiono sempre più forti e pericolosi. Le elezioni erano state indette per consentire all'Afghanistan di aprire una nuova fase di stabilità, su cui costruire il futuro del Paese, contro gli stessi talebani e varando quelle riforme economiche e sociali molto spesso promesse negli anni passati e mai realizzate.
Invece ora rischia di aprirsi una fase di forte instabilità e di tensioni anche tra i gruppi filo occidentali. In teoria la scoperta dei brogli dovrebbe indurre l'Ufficio elettorale indipendente a non riconoscere i risultati del primo turno e dunque a indire il ballottaggio tra lo stesso Karzai e il secondo classificato, l'ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah. Secondo le norme vigenti i brogli scoperti dalla Commissione sono «finali e vincolanti», ma l'Ufficio è legato al presidente, il quale per giorni ha rifiutato l'ipotesi del secondo turno e solo nella tarda serata di ieri ha dichiarato di accettare il responso dell'inchiesta.
Il clima resta comunque teso e fonte di non pochi imbarazzi sia per lo stesso Karzai che per gli americani, i quali da giorni sono già molto a disagio. Quando fu eletto, Obama promise che l'Afghanistan sarebbe diventata la priorità della sua Amministrazione, prima ancora dell'Irak e dell'Iran. Fece elaborare un piano che prevedeva l'invio di diverse migliaia di truppe supplementari per estirpare definitivamente la minaccia talebana, ma sospese ogni decisione esecutiva fino alle elezioni presidenziali del 20 agosto. Da allora i dubbi hanno preso il sopravvento e sebbene il Pentagono premesse per una decisione militare, rapida ed energica, il capo della Casa Bianca ha continuato a prendere tempo.
E ora si trova con un'altra grana: Karzai è il miglior alleato, dell'America, già dai tempi di Bush, ma questa vicenda dei brogli, che l'America non ha saputo prevenire né scoraggiare, incrina la sua credibilità. Da giorni Washington preme nella speranza di convincerlo ad accettare un compromesso con Abdullah e dunque un governo di coalizione. Invano: le inimicizie (personali e tribali più che politiche) sono tali da impedire la riconciliazione.
E ora il Paese si trova a un bivio: questa crisi dovrebbe sfociare nel ballottaggio, il cui esito peraltro dovrebbe essere favorevole allo stesso Karzai, ma che implicherebbe un prolungamento dei tempi, tra nuove operazioni di voto e conteggi delle schede che, come si è visto, sono particolarmente laboriose. Gli esperti di vicende afghane, peraltro, non escludono un putsch istituzionale o trucchi procedurali per invalidare o prevenire in extremis il secondo turno. Molto dipenderà dalla Casa Bianca. Il conciliante Obama deve fare per la prima volta la voce grossa con un alleato. Ieri il suo portavoce Gibbs ha dichiarato che è «estremamente importante» che il governo afghano sia legittimo, precisando «che spetta adesso agli afghani dimostrare di credere anch'essi a questa legittimità».


Una conseguenza è già evidente e ci riguarda da vicino: la Nato ha appena annunciato che non si esprimerà sull'invio di nuove truppe fino a quando la crisi politica in Afghanistan non sarà risolta, mentre il capo di gabinetto della Casa Bianca, Rahm Emanuel, ha reiterato la richiesta di un governo «legittimato e credibile». Altrimenti resterà tutto così, con un solo grande beneficiario: i talebani.
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