RomaÈ come gustarsi una pizza margherita a Napoli e poi ordinarne una uguale a Baku. Mozzarella, pomodoro e basilico ce li avranno pure messi, i volenterosi pizzaioli dell’Azerbajan, ma quel tipico sapore originario non ci sta. Così in Quantum of solace (da venerdì nelle sale) di Mark Forster («non farò più Bond: è stata solo un’esperienza»), ventitreesimo film della saga più longeva nella storia del cinema (il primo 007 è del 1962) c’è l’agente muscolare, ovvero Daniel Craig qui alla seconda prova, dopo Casino Royale, le azioni spettacolari (dalle cave di Carrara ad Haiti, da Talamone alla Bolivia, è una farandola di pugni, calci, inseguimenti in cielo, aria e terra, esplosioni plurime, macchine sfasciate e via rutilando), la Bond-girl (Olga Kurylenko), la storia di spionaggio, però manca il vero sapore di Bond. Cioè quella fragranza, destinata a tempi meno grossolani di avventura e galanteria sullo sfondo d’una narrazione «classica», con personaggi lontani dal videogame. Stavolta anche i meno passatisti rimpiangono quel gran signore, anche sexy, di Sean Connery, o l’elegante Pierce Brosnan: almeno si fermavano al bar a bere un Martini in abito da sera.
L’abito da sera Craig lo indossa (dopo aver tramortito un melomane, chiudendolo in uno sgabuzzino dell’Opera di Bregenz) soltanto per stanare gli amici della canaglia Greene (Mathieu Amalric), tipaccio che fa affari globali mirando al controllo dell’«oro blu», l'acqua. «Hai un aspetto orrendo!», è la prima cosa che «M» (Judy Dench) dice al suo agente, insonne da giorni. Tradito da Vesper, l’amata morta, 007 ha una missione: vendicarsi. Gli spioni sono ovunque, tanto che un agente MI6, tradendo l’agenzia, porta a un conto bancario di Port-au-Prince, dove Bond, valigetta in mano, è abbordato dall’esotica Camille (Olga Kurylenko). Pure lei ha un conto aperto con un dittatore sudamericano, che inciucia con l’uomo d'affari senza scrupoli. Tra Cia, terroristi e persino «M» che si mettono di traverso, 007 rincorre tutti e finisce per buttare Mathis (Giancarlo Giannini) nella spazzatura, «tanto lui non ci avrebbe fatto caso». «Bond è un personaggio molto lontano da me, moralmente ambiguo com’è», spiega Craig, ingaggiato per altri due 007.
Fuori dal film, dov’è in look lurido-teppa, indossa pantaloni grigi, cardigan blu su camicia celeste e un paio di scarpe nere «Duilio» tirate a lucido. È tranquillo, ordinario e somiglia a Mike Bongiorno da giovane. «Nonostante le scene d’azione, non mi sono esposto a pericoli fisici: non facevo il coraggioso, per esibizionismo. Ho voluto imitare Buster Keaton e Chaplin: in scena, erano se stessi. Se il pubblico deve credere a me, devo buttarmi io. Difficile dire se somiglio al Bond di Fleming, che quando l’ha inventato correvano gli anni Cinquanta. Ho letto i suoi libri, ma cercando d’infondere la mia integrità al personaggio, confuso dai continui tradimenti. Amici e famiglia sono i miei valori più importanti. E cerco d’essere normale e di ricordare gli insegnamenti di mia madre Olivia, che m’ha iniziato al teatro al quale tornerò. Magari con opere moderne: nelle commedie classiche si parla troppo!», sorride Craig, padre di un’adolescente, mentre tiene fissi gli occhi d’acciaio.
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