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"Sputi in faccia e sassate. Noi agenti siamo bersagli"

Il veterano della Mobile Eugenio Bravo: "Askatasuna uno dei centri più violenti d'Europa. Li fronteggio da trent'anni"

"Sputi in faccia e sassate. Noi agenti siamo bersagli"
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Trent'anni in prima linea in piazza, nelle manifestazioni più violente in Val di Susa e a Torino. Protagonisti, "sempre loro, quelli di Askatasuna", ricorda Eugenio Bravo, per anni in valle con i reparti mobili, e oggi segretario del sindacato Siulp. "Askatasuna è uno dei centri sociali più violenti in Europa".

Cosa significa fare ordine pubblico in questo tipo di manifestazioni?

"Io per anni ho fronteggiato con i colleghi questo tipo di manifestanti, anche nella madre di tutte le battaglie, quella contro la Tav, la più violenta. Significa trovarsi davanti a tecniche di guerriglia, armi di ogni genere, ci vuole concentrazione per mettere in pratica le tecniche operative, per non cedere alle provocazioni".

Che tipo di provocazioni?

"Le solite che fanno da sempre, è la loro tattica. Ti sputano in faccia, insultano, lanciano uova sulla divisa. E vi invito a guardare bene tutti i video delle manifestazioni. Ogni volta che c'è una reazione delle forze dell'ordine è in risposta a un attacco. Ti trovi davanti a persone pericolose, che hanno un odio per la divisa e lo esprimono con decisione. Poi arrivano le pietrate, le bombe carta. Purtroppo siamo esposti, perché procediamo con le cariche solo quando i manifestanti ingaggiano un corpo a corpo. Non possiamo reagire sempre tempestivamente alle pietrate, da questo punto di vista siamo in una posizione di inferiorità. Per questo anche ci facciamo così male, e loro si sentono in grado di attaccarci".

C'è stato un salto di qualità nella violenza nei vostri confronti?

"Il salto di qualità c'è stato già da qualche anno. Ho colleghi che sono stati colpiti da razzi in testa, a uno di loro ne era rimasto incastrato uno nel casco, altri a cui sono scoppiate bombe carta addosso, altri sono stati colpiti da molotov, da chiodi che erano dentro gli ordigni, o hanno preso sprangate. Ci sono colleghi che hanno dovuto cambiare ruolo dopo aver subito lesioni nell'esercizio del loro lavoro. Parliamo di questo. Attentano alla nostra vita in modo consapevole. Nei nostri reparti mobili ci sono anche persone di 55-60 anni, padri di famiglia".

In molti oggi distinguono Askatasuna come centro sociale che ha fatto cose positive, dai violenti.

"Il centro sociale che è stato sgomberato era il quartier generale dove organizzavano la strategia di guerriglia nelle piazze. Da quell'immobile sono usciti tutti coloro che nelle manifestazioni attaccano le forze ordine. Questa è la cultura di cui tanti parlano? A me sembra una fucina di violenza, visto che in trent'anni hanno messo in atto uno scontro sistematico con lo Stato. Arrivano con i volti travisati, mettono davanti in prima fila donne e ragazzini, si nascondono dietro di loro prima di iniziare gli attacchi".

Ci sono coperture politiche?

"Chi li difende evidentemente o non ha capito ancora dopo 30 anni chi sono questi soggetti, o finge di non vedere la violenza e la devastazione per una comunanza di ideologia. Ma è un'ideologia pericolosa. E non basta dire che le responsabilità sono individuali, che un conto è il singolo e un conto è il gruppo, perché quel singolo commette un reato all'interno di un gruppo. C'è una struttura, un'organizzazione vera e propria. Dall'inizio dell'anno sono starti feriti 300 poliziotti. E le sanzioni sono sempre modeste, quando ci sono. Non è possibile pensare che mandino un poliziotto in ospedale e non succeda loro nulla".

Perché?

"Le pene non sono adeguate, e in alcuni casi non ci sono proprio.

Quando riusiamo a identificarli e li denunciamo, vengono indagati a piede libero, anche al termine del processo nessuno va in carcere. Le pene sono ridicole. E intanto si sentono più forti, consapevoli che le conseguenze delle loro azioni sono lievi. Forse fargli pagare i danni per legge sarebbe un deterrente".

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