Dicevano gli antichi: castigat ridendo mores. Loro la satira la praticavano ad altissimo livello e ci hanno insegnato che non cè niente di più efficace contro la retorica di una bella risata. Antidoto liberatorio anche contro il potere dei potenti veri e maggiormente contro quelli che si ritengono tali.
Negli anni Settanta si poteva ancora ridere di tutto, oggi si ride ben poco. La satira come genere politico e morale è morta e sepolta schiacciata sotto i seriosi schieramenti dello scontro di civiltà e del politicamente corretto. Gli islamici non si toccano, pena rivolte popolari e minacce di morte. I monsignori, bersagli prediletti della vivacissima satira anticlericale ottocentesca e risorgimentale, sono intoccabili pena accuse di laicismo. Gli immigrati, le donne e tutte le minoranze sono ormai specie protette pena accuse di scorrettezza politica.
Allora domandiamoci: perché non cè un solo giornale satirico oggi in edicola? Perché non si vedono giovani disegnatori o battutisti di rango allorizzonte? Qualcuno dice che la satira si è spostata dai fogli stampati alla televisione. Ma non vorremo mica chiamare satira quella dei comici in tv? Dai fratelli Guzzanti passando per le imitazioni di Crozza fino al Bagaglino la televisione fa casomai umorismo, ma non certo satira, ormai confinata nelle vignette sulle prime pagine dei giornali. Poche e circoscritte aree di sollievo in un plumbeo conformismo, dove tutti più o meno procedono con il freno a mano tirato.
Se la satira non si è spostata in televisione, dove è andata? Azzardiamo qui unipotesi spericolata: ha migrato su Internet nelle varie rubriche Cafonal e Stracafonal di Dagospia. Lì si castigano i mores e anche i tempora. Forse i personaggi messi lì alla berlina fanno più piangere che ridere. Ma questo è un altro problema.
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