Agguati e ricatti no stop. Così i Gianfranco boys tengono in scacco il Cavaliere

Roma - Stop and go, stop and go: l’aula di Montecitorio è diventata per la maggioranza «un inferno da cui non possiamo uscire vivi», per dirla con il vice-capogruppo Pdl Osvaldo Napoli. Chi abbia seguito da radio o tv la seduta di ieri pomeriggio, ha potuto assistere ad un esempio da manuale di guerra dei nervi parlamentare, con esiti quasi comici («Stanno giocando alla morra?», si chiedeva Massimo D’Alema), tutta manovrata dallo scranno del capogruppo finiano. Italo Bocchino, tattico d’aula di grande esperienza, ha praticamente mandato ai pazzi la presidenza, il governo, la maggioranza e pure il Pd, che solo grazie alla prontezza di riflessi del suo segretario di gruppo Roberto Giachetti è riuscito a non farsi tagliare fuori dall’operazione di blocco della riforma Gelmini e ad avere quantomeno un ruolo in commedia.

Sta di fatto che per un’intera giornata, e su uno dei suoi provvedimenti simbolo, lodato approvato e difeso a suo tempo anche dai finiani, la maggioranza è stata appesa alle rapide giravolte strumentali di Fli, che prima ha presentato i suoi (assai onerosi) emendamenti, poi ha minacciato di rispedire la legge in commissione - di fatto facendola arenare - poi ha chiesto una sospensione del dibattito per un’ora, poi per due ore, poi un rinvio al giorno dopo. Dopo frenetiche trattative il governo, stremato, ha dato assicurazione sui fondi per finanziare gli emendamenti, i finiani hanno cantato vittoria ai quattro venti, il governo ha rifiatato e cinque minuti dopo i finiani hanno votato con le opposizioni un emendamento Udc mandandolo sotto. E nei prossimi giorni c’è da aspettarsi di peggio, quando si voteranno le mozioni anti-Minzolini firmate da Fli.

L’obiettivo della guerriglia è chiaro: logorare l’immagine del premier, condizionarne ogni mossa, costringerlo al mercanteggiamento continuo, dimostrare che la maggioranza non esiste. Il 14 dicembre Berlusconi potrà anche ottenere una risicata fiducia, ma le ultime settimane saranno la testimonianza che governare è impossibile. Almeno a lui. E poi? In casa Pd giurano che chi è salito al Colle (Bersani, D’Alema, Franceschini) lamentandosi per il «favore» fatto a Berlusconi col rinvio della sfiducia a dopo la finanziaria, avrebbe ottenuto quantomeno la rassicurazione che in caso di dimissioni del premier, il presidente «intende esercitare appieno diritti e doveri previsti dalla Costituzione», come si leggeva ieri in un comunicato quirinalizio. Il che, in casa Pd ma non solo, viene letto come la possibilità di incaricare un premier diverso dal Cavaliere per verificare se vi sia una maggioranza alternativa a quella che avesse fallito con Berlusconi.

Secondo lo scenario sempre più spesso evocato da Pd, Udc, Fli sarà la situazione esterna (la crisi europea, il rischio euro, lo spaventoso debito pubblico italiano) a spingere pezzi significativi di Pdl e Lega a convergere sull’ipotesi di un governo di larghissime intese che metta mano a provvedimenti economici sanguinosi di cui nessuno, da solo, vorrebbe assumersi la responsabilità.

La premessa necessaria, ovviamente, è che Berlusconi si dimetta. Lui pare tanto poco intenzionato a farlo da respingere anche le blandizie Udc: se volete dare un appoggio esterno al mio governo bene. Ma scordatevi che mi dimetta in nome di un ipotetico Berlusconi bis.

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