Economia

«Agli Usa servono 100 miliardi di dollari»

da Milano

L’America ha bisogno di 100 miliardi di dollari. Da trovare in fretta, senza perder tempo prezioso. Perché gli stimoli che derivano dalla politica monetaria, per quanto ripetuti e puntuali, da soli non bastano a sostenere l’economia. Davanti al Congresso, nel pieno della bufera che sta scuotendo i mercati finanziari, il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke, appoggia senza riserve il piano di aiuti fiscali su cui la Casa Bianca e Capitol Hill stanno discutendo.
Le Borse sono in ascolto, ma non sembrano trovare conforto nelle parole, mai così esplicite, dell’ex professore di Princeton. Stecca l’Europa (dal calo dello 0,68 di Londra al meno 1,3% di Parigi, con Milano scesa dello 0,88%), crolla Wall Street (oltre 300 punti bruciati dal Dow Jones, pari a un ribasso del 2,48%, mentre il Nasdaq è arretrato del 2%), inciampano ancora gli investitori nei timori recessivi, questa volta alimentati proprio dal crac in gennaio di uno degli indicatori-chiave di matrice Fed, quello sullo stato di salute delle imprese nell’area di Philadelphia. Il consensus degli analisti convergeva alla vigilia su un calo contenuto, meno uno, dal meno 16 di dicembre. Il verdetto è stato da choc: meno 20,9, il peggior risultato dall’epoca nefasta delle Twin Towers. Volgere lo sguardo altrove? Non serve, se il mercato del mattone continua a essere scosso da terremoti: malissimo le vendite di nuove case (meno 14% il mese scorso), mai così in basso da oltre 27 anni l’apertura di nuovi cantieri nel 2007. E poi ci sono le trimestrali: quella diffusa ieri da Merrill Lynch riporta in tutta evidenza le ferite da subprime, con perdite nel periodo ottobre-dicembre per quasi 10 miliardi di dollari, dopo svalutazioni per un valore di 14,6 miliardi.
Eppure, a dispetto del suo predecessore Alan Greenspan, Bernanke ribadisce al Congresso di non «prevedere attualmente la recessione». Batte ancora una volta sul tasto del forte rallentamento della crescita, ma pur sottolineando i rischi di decelerazione più pronunciati «che Europa e Asia non corrono», il numero uno dell’istituto centrale Usa si dice certo che l’economia «mantiene una sua capacità di ripresa». Quando però il discorso si sposta sul terreno minato delle perdite provocate dai mutui ad alto tasso di insolvenza, le cifre sono da brivido. Quantifica Bernanke: «Potrebbero ammontare a diversi multipli di 100 miliardi, ma non supereranno i 500 miliardi». La Fed, ribadisce, farà la sua parte per aiutare l’economia attraverso «misure aggressive», con ciò confermando le attese per una riduzione di almeno mezzo punto dei tassi (c’è chi non esclude un taglio dello 0,75%) a fine mese.
Se lasciata sola a combattere, tuttavia, la Fed ha in mano un’arma spuntata. Servono alleati, ovvero stimoli fiscali «non di sola facciata», per un valore di 100 miliardi. Bernanke cita il 2001, quando «una forte recessione» venne evitata grazie alla politica delle detrazioni, peraltro non condivisa all’epoca da Greenspan. È la stessa politica che trova supporter in Hillary Clinton, favorevole a creare un fondo di emergenza da 30 miliardi, e nel suo rivale nella corsa verso le presidenziali, Barack Obama (sgravi per 37 miliardi), mentre la Casa Bianca e il Congresso sono al lavoro per introdurre un pacchetto di aiuti da 100-150 miliardi, anche se nessuna cifra è stata ancora stabilita. George W. Bush esporrà oggi le ragioni degli interventi e presenterà i dettagli del programma il prossimo 28 gennaio, in occasione del discorso sullo stato dell’Unione. Il 9 gennaio, il Wall Street Journal aveva riportato indiscrezioni secondo cui il piano di incentivi fa perno su rimborsi fiscali fino a un valore di 500 dollari, da spedire a casa sotto forma di assegni, e cambiamenti nella normativa fiscale più favorevoli alle aziende.


Bernanke, oltre a spiegare che il provvedimento deve essere varato velocemente per avere il massimo impatto nell’arco di 12 mesi, ha posto dei paletti al piano di sgravi fiscali, a cominciare dalla durata, che dev’essere temporanea per evitare «stimoli non voluti oltre un orizzonte di medio termine, sia per non aumentare il deficit strutturale del governo».

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