Aguero, dramma di regime: il visto arriva a madre morta

Il dramma della italo cubana: tornata a Pechino scopre che può rientrare a Cuba, ma ormai è troppo tardi. Stupida burocrazia o vendetta di Stato?

Aguero, dramma di regime: il visto arriva a madre morta

nostro inviato a Pechino

Aveva un bel nome. Si chiamava Dulce, dolce. Nome difficile da indossare, per una donna, di questi tempi. Era la mamma di Tai Aguero, la nostra pallavolista di origine cubana venuta a Pechino per vincere con le sue compagne la medaglia d'oro, come c'è scritto in tutti i fondi di caffè del Villaggio Olimpico.
Sarebbe stato bello, pensava Dulce Fedora dal suo letto di malata, vedere per l'ultima volta quella sua ragazzona così brava con la palla e così dolce, anche lei. Una mamma che altro può volere, quando capisce che sta morendo? Vuol vedere i figli, tenergi la mano, affidargli la propria, guardarli per l'ultima volta negli occhi con quello sguardo che dice solo questo: forse ho fatto degli errori, sono stata brusca, forse impaziente, forse quella volta avrei dovuto essere più… più… Ma se c'è una cosa di cui sono sicura è che ti ho voluto bene.
Dulce Fedora è morta a Mayajigua, 360 chilometri dall'Avana, con gli occhi rivolti a una porta che è rimasta chiusa. Morta senza aver potuto guardare per l'ultima volta negli occhi quella che lei ancora chiamava «la mia ragazzina». Non la vedeva dal giugno del 2001, quando Taismary, a Montreaux per un torneo, aveva deciso di restare in Europa. Si sentivano ogni tanto per telefono, certo. E poi c'era quell'appuntamento a fine mese, all'ufficio postale, quando Dulce andava a ritirare i soldi che Tai le mandava per rimettere a posto la casa di famiglia. Dicono sia stato Fidel Castro in persona ad opporsi al ritorno di Tai a Cuba, inizialmente. Ma speriamo che non sia andata così. Speriamo almeno che non ci sia stato dolo, consapevolezza, crudele desiderio di vendetta. Se così fosse, dovremo pensare che il líder máximo non c'è più con la testa; che il marasma senile che lo ha ghermito da tempo se lo sta portando via. Perché certo sarà un po' rincoglionito, Fidel. Ma non al punto di negare a una ragazza, «colpevole» di aver voltato un giorno le spalle all'isola del tesoro castrista, un visto sul passaporto per tornare a vedere la mamma morente.
No, meglio pensare che sia stato solo uno dei tanti, penosi episodi di cecità burocratica; di ottusità stalinista, ma in triplice copia, in cui annaspa l'anacronistico, imbarazzante regime imposto ai suoi isolani da Fidel. C'è poi un'altra ipotesi, naturalmente; e anche questa non è poi così peregrina. E cioè che si sia trattato di un caso di gelosia transnazionale, per così dire. In un momento in cui i riflettori del mondo sono tutti puntati sulla Cina, spacciata come medaglia d'oro in tema di trasgressione di diritti umani, il regime castrista avrebbe insomma voluto ricordare al mondo di non essere secondo a nessuno, nel ramo.
Tai è rientrata ieri al villaggio olimpico a capo chino. Erano le quattro del pomeriggio. Ha dato solo una carezza alle sue compagne che avevano ancora le facce accese per la fatica e la gioia di aver battuto le russe, e si è chiusa nella sua cameretta. Due anni fa le avevano negato il visto per andare a salutare il padre, anche lui in fin di vita. Stavolta il niet dei capibastone cubani è stato anche più crudele, più disastrosamente autolesionistico. Sono fatti così quei ragazzi. Vanno capiti.
Tai era partita da Pechino nella notte tra mercoledì e giovedì. Il visto non l'aveva; ma insomma se la sarebbe giocata all'arrivo, con le guardie cubane, pensava. Aereo per Francoforte, dunque. Poi la coincidenza per i Caraibi…
Per un giorno, Tai ha atteso fiduciosa. Quelli del Coni, gli amici della federazione le dicevano che ce la stavano mettendo tutta, per quel benedetto visto. Un giorno d'attesa. Quindi la decisione di tornare a Pechino, per sapere che il visto alla fine c'era. Però non c'era più la mamma.
Il disegno perverso del regime si è infine concluso felicemente. Lo sapevano, gli spioni di Castro, che per Dulce era finita, che la andava a ore.

Bastava calibrare l'attesa, stare alla finestra e fare i magnanimi un momento prima che la donna chiudesse gli occhi. Dulce è rimasta lì, povera mamma, ad aspettare la sua «ragazzina». Il governo non può farmi questo, pensava. È morta così, con la testa girata verso quella porta che non si apriva, non si apriva…

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