Ahmadinejad blocca Stone: «Niente film sulla mia vita»

Il presidente iraniano si nega al regista americano: «Sei un dissidente, ma creatura del Grande Satana»

Ahmadinejad blocca Stone: «Niente film sulla mia vita»

Ha incominciato portando sullo schermo la saga di Conan Il Barbaro e ha continuato raccontando le vite di Jfk, Richard Nixon e Fidel Castro. Ma con Mahmoud Ahmadinejad non gli va altrettanto bene. Dopo trafile lunghe anni e mesi di attesa Oliver Stone rimedia un secco no. A mettere alla porta il celebrato regista americano ci pensa Mahdi Kalhor, rispettato consigliere della presidenza iraniana per la comunicazione. «Abbiamo visto i suoi documentari su Arafat, Castro ed Hezbollah e sappiamo che in America passa per un regista d’opposizione, ma per noi resta un figlio del Grande Satana», spiega lapidario Mahdi Kadhor annunciando il «niet» presidenziale a tutte le script sottoposte dal regista hollywoodiano. «L’industria cinematografica americana – aggiunge - produce pellicole prive di arte e cultura, usate spesso come strumenti di propaganda. Il presidente, ben sapendo che l’arroganza globale cerca in tutti i modi di offuscare la sua immagine, era fin dall’inizio contrario ad accettare». Secondo altri bene informati, le colpe di Oliver Stone non dipendono soltanto dalle produzioni cinematografiche del Grande Satana. La vera ferita sanguinante sarebbe, anche stavolta, il disastroso kolossal dedicato all’imperatore macedone Alessandro. Quella sgangherata biografia già costata un bagno di sangue ai botteghini e un totale insuccesso di critica continua, insomma, a ostacolare il cammino del prolifico regista. Prima ancora di immaginare come avrebbe raccontato la parabola dell’ufficiale pasdaran fattosi presidente, gli scrupolosi consulenti di Ahmadinejad sono andati a riguardarsi le sequenze dedicate alla sconfitta di re Dario e dell’esercito persiano. E non gli sono piaciute.
In quel film l’esercito persiano rivive come un’orda scomposta e disordinata pronta alla resa subito dopo la fuga del proprio re. Stone torna, insomma, a venir messo sotto accusa per la superficialità con cui descrive la storia iraniana e la sconfitta di Gaugamela. Un peccato non da poco per una nazione che insegue il sogno nucleare e ambisce a ricoprire il ruolo di grande potenza Mediorientale. Non tutte le colpe di Stone si chiamano, però, Gaugamela. L’altra sua grande colpa, ugualmente ingiustificabile, è quella di essere un amante delle teorie complottistiche, come dimostra in Jfk, e uno spregiudicato e incontrollabile cantore di storie scomode, visionarie o controcorrente come rivelano le vicende umane di Salvador, Natural Born Killer o Platoon.
Quelle qualità mal s’adattano, forse, alla controversa parabola di un presidente non sempre troppo prodigo di dettagli sulla propria vita o sulla propria carriera. Di lui sappiamo che inizia giovanissimo a militare nelle file della rivoluzione trasformandosi poi in un esuberante ardito capace di guadagnarsi i gradi di ufficiale nelle trincee del conflitto Iran-Irak. Sappiamo che questa sua spregiudicata esperienza di combattente gli vale il reclutamento nei servizi segreti e il conferimento di incarichi nella caccia agli oppositori all’estero. Ma i dettagli di queste attività restano nell’ombra anche se qualche giudice europeo sarebbe ben felice di chiedergliene conto. Sappiamo che da governatore si trasforma prima in sindaco della capitale e poi presidente. Un presidente mistico e ispirato convinto di seguire non solo i dettami della legge islamica, ma anche, e qualcuno dice soprattutto, le tessi messianiche, degli adoratori del XII imam, il grande predicatore scomparso destinato - secondo la fede sciita – a tornare sulla terra per metter fine all’ ingiustizia.


Un miscuglio di oscuri passati e visionari presenti che rischia di deturpare ancor di più l’immagine di un presidente già dipinto come un nemico giurato d’Israele e un sostenitore delle tesi negazioniste sull’Olocausto. Miscele avvelenate da cui Oliver Stone minaccia di distillare trame così esplosive da oscurare persino i sogni nucleari di Mahmoud Ahmadinejad.

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