Gli aiuti negati in una storia di fallimenti

Ora dicono che la famiglia rifiutasse ogni assistenza. Ma qualcuno gli ha mai offerto una casa?

Gli aiuti negati in una storia di fallimenti

Bologna - Questa è una storia di fallimen­ti, uno dietro l’altro, uno più dram­matico dell’altro, tanto che non si sa in quale ordine metterli. Un bam­bino di venti giorni morto di freddo nella Piazza Maggiore di Bologna, quella delle grandi manifestazioni politiche e canterine, mentre ancora le luci brillavano di feste sacre e di feste del consumo. È il fallimento della famiglia Ben­ghi, certo, italianissima ma ridot­ta a vivere per strada come il più disperato degli immigrati clande­stini. Per quante responsabilità possano avere i due genitori, si fa fatica a credere che abbiano scel­to di vivere in strada con due ge­melli nati subito prima di Natale e con una figlia di un anno e mez­zo. Si dice che rifiutavano ogni ti­po di assistenza, ma risulta pure che sono andati alla cena di capo­danno offerta ai poveri dalla Cari­tas. Difficilissimo credere che gli sia stata offerta, e abbiano rifiuta­to, una casa. È il fallimento di chi, in preceden­za, aveva disposto di togliere ai Benghi due figli più grandi, dan­doli in affido. Il comportamento di quel padre e di quella madre sciagurati – nel doppio senso di colpiti da sciagura e di scellerati – si può spiegare anche con la pau­ra che togliessero loro gli altri fi­gli. A due genitori, o si decide di togliere tutti i bambini, perché non li si ritiene in grado di provve­dere alla loro vita, o glieli si lascia tutti, aiutandoli. È il fallimento di una struttura ospedaliera che fa partorire una donna – in palesi condizioni di massima indigen­za – e poi la lascia andare via, mentre a Bologna la temperatura scende ogni notte sotto zero, manco avesse partorito in una grotta. È il fallimento di quelle strutture assistenziali che oggi dicono «ri­fiutavano ogni aiuto». Se dei po­veracci - con in braccio due neo­nati e un infante ridotti allo stre­mo - rifiutano ogni aiuto, non è come quando qualcuno rispon­de «Un caffè? No, grazie»: l’aiuto deve consistere nel convincerli che non ne possono fare a meno, non nell’abbozzare con un «Pre­go ». Per il direttore della Caritas diocesana di Bologna, Paolo Mengoli, la morte del neonato è il segno di una carenza dei servizi sociali e di lacune non piccole. «A questa città manca un vero padre di famiglia. I servizi - , ha dichiara­to ancora Mengoli – dovrebbero avere la possibilità di valutare le situazioni, senza rimandarle alle calende greche (...) e la responsa­bilità non so di chi sia, ma c’è un’organizzazione che non fun­ziona ». È il fallimento della città di Bolo­gna e della sua amministrazione, miticamente nota per l’attenzio­ne che presterebbe ai meno fortu­nati. Lo ammette anche Raffaele Donini, segretario del Pd di Bolo­gna: «Sono sconvolto come pa­dre e come cittadino per la morte del piccolo Devid. Ed è particolar­m­ente incredibile sapere che è ac­caduto sotto i nostri occhi, nella nostra Piazza Maggiore, fra le lu­minarie della città ancora in fe­sta. Questo episodio rappresenta una grave sconfitta e una vergo­gna per la nostra comunità citta­dina ». Virginio Merola, presiden­te del consiglio provinciale e can­didato del Pd alle primarie per di­ventare sindaco, rincara: «Dob­biamo tutti vergognarci». Fare dello sciacallaggio politico su questa vicenda sarebbe un ag­giungere crudeltà alla crudeltà, ma si tratta di ammissioni ben tri­sti. Bologna, rossa o no che sia, la pensiamo tutti saggia, ricca, ge­nerosa, ospitale, e così vorrem­mo continuare a pensarla: rossa o no che sia. È il fallimento, infine, di tutti noi, che non vogliamo guardarci in­torno per non vedere i tanti picco­li Devid che ci circondano.

È il fal­limento di chi celebra il Natale chiedendosi se è meglio un telefo­nino ultimo modello o un fine set­timana di svago; per i media, che analizzano –oh,fino a quali detta­gli – le variazioni di costume e d’acquisto, senza occuparsi dei piccoli Devid, almeno finché non muoiono di freddo. È il fallimento – quale che sia il governo - dello Stato. Che nessu­no vuole come padre, ci manche­rebbe, ma al quale si chiede alme­no di non essere il patrigno catti­vo che ignora alcuni figli a favore di altri.

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