Aiuto! Ho fatto la più grande bischerata della mia vita. Anche l’unica di cui possa andare fiero, per la verità. Mi sono impegnato con me stesso, in tempi lontani, a rispondere a tutti coloro che m’avessero scritto una lettera. Solo che da qualche anno per coerenza - la virtù degli imbecilli - ho applicato il medesimo criterio all’e-mail, la posta elettronica che viaggia via Internet. Ebbene, non vivo più. Sto per ammalarmi. Anzi, sono già mailato, temo. Una nuova patologia.
Rispondere a chi ti spedisce una lettera? Così fan tutti, semplice buona creanza, penserete voi. Mica vero. Non nei giornali, perlomeno. Potrei addurre prove a bizzeffe. Ne volete una? Inverno di vent’anni fa. Nel porto di Essaouira, città del Marocco affacciata sull’Atlantico, incontro per caso Carlo Rognoni, attuale consigliere d’amministrazione della Rai in quota Ds. Non ci eravamo mai visti prima, però avevo scritto per lui quando dirigeva Panorama. Mi presento. Stupore. Convenevoli. Gli chiedo dove alloggia. «A Marrakech, al Mamounia», risponde. Ah, nell’hotel dell’Uomo che sapeva troppo, replico io. Dallo sguardo intuisco che non ha capito. Sai, il film di Alfred Hitchcock, comincia lì... Niente. Non lo ha visto. Perciò, tornato in Italia, gli spedisco per raccomandata al Secolo XIX - allora dirigeva il quotidiano di Genova - la videocassetta del giallo con James Stewart, accompagnata da una bella letterina. Credete che mi abbia risposto? Per carità, niente di personale: magari se l’è fischiata un fattorino.
Comunque, nel dubbio, per non diventare come Rognoni da allora decido di rispondere sempre, a tutti. Arriva l’era digitale. Insisto nel proposito iniziale. Ma già dopo qualche mese m’accorgo che qualcosa non quadra. «Ma com’è gentile!», è il commento grondante meraviglia che ricevo ogniqualvolta do un segno di vita online. «Lei è davvero un gentiluomo, un caso unico. Non come Questo, Quell’Altro e Quest’Altro», e giù nomi di direttori, editorialisti, giornalisti, politici, medici, prelati. «Gli scrivo, ma loro non mi hanno mai degnato di una risposta». Sono stato scambiato per il buon samaritano.
Talvolta si produce un micidiale effetto ping-pong o effetto specchio, chiamatelo come vi pare. Io replico e loro replicano alla replica. Un avvitamento alla Ridolini. Quando c’è di mezzo una mia manchevolezza, ne scaturiscono discussioni estenuanti, che spesso degenerano negli insulti. A quel punto, mollo la presa: benché veneto come il conte Ferruccio Macola, non so tirare di scherma e chi mi offende non assomiglia per nulla all’intrepido Felice Cavallotti, che nel suo 33° duello morì con la gola squarciata dalla sciabola del direttore della Gazzetta di Venezia.
Certuni raggiungono vette di sublime villania. Avendo ricevuto dal mio sito la segnalazione dell’uscita del libro Vita morte miracoli, Teresa C. mi scrive: «Buonasera. Non mi risulta di aver mai intrattenuto corrispondenza con lei e chiedo che lei cancelli il mio indirizzo e-mail dai suoi archivi». Il messaggio è stato inoltrato in copia per conoscenza al Garante per la privacy. Roba seria. Come ci sarà finita, ’sta Teresa C., dentro la mia memoria virtuale? Vado a controllare. Mercoledì 22 dicembre 2004, ore 17.32: «Volevo solo dirle che il suo articolo di ieri dal titolo “La terza via della sigaretta” è un vero spasso! Cordialmente & auguri. Teresa C.». Ne deduco che la grafomane telematica, benché gratificata all’epoca da un mio cenno di riscontro, è mobile qual piuma al vento. Di più: mi convinco che molti di coloro che usano la posta elettronica non si ricordano nemmeno a chi scrivono e perché gli scrivono. Eppure io continuo a rispondergli, in una sorta di coazione all’urbanità. Che mi consumerà, lo sento.
E se non sarà la coazione all’urbanità, mi consumerà il dolore. Quello che ogni volta provo quando ricevo le mail di persone disperate che hanno letto qualche mia intervista a medici o scienziati impegnati nella lotta al cancro. In questi casi la richiesta di un indirizzo o di un recapito telefonico non è che la base di partenza per un crescendo d’interrogativi: «Ma il professor Tal dei Tali è una persona seria? Secondo lei la sua cura funzionerà? La chemioterapia devo farla o no?». Rispondere è impossibile, se non con frasi di circostanza. Eppure rispondo. Cinque anche ieri.
Per cui diventano una benedizione dal cielo, una luce nel buio, un ristoro per la mente, le mail - anche queste ricorrenti - che riguardano un articolo di tre anni prima «scritto da lei, mi pare» (mai vergato alcunché sull’argomento), il recupero di pagine arretrate, le suppliche per ottenere i recapiti del Mago Otelma o del capo dell’Impero Economico Universale, al secolo Pierino Brunelli, che ho ahimè biografato temporibus illis.
I professionisti della mail appartengono alle più disparate categorie umane. C’è un avvocato di Vallo della Lucania che ormai è diventato uno di famiglia. C’è un medico di base lombardo che è riuscito persino a mandarmi una mia caricatura degna del Forattini dei tempi migliori. C’è un ex inviato speciale del Corriere e del Giorno, giornalista dal 1955, che a 81 anni scrive ancora da dio e mi fa commuovere a ogni mail e mi ha pure invitato tante volte ad andarlo a trovare a Santa Margherita Ligure e io, bestia che non sono altro, non l’ho mai fatto, sicché l’ultimo giorno dell’anno, «ammalazzato», mi ha scritto: «Perché non venire fin qui? Staremo insieme, anche per poco. Ricordo: una volta facevo gli auguri a Missiroli, che era il mio Direttore. Non potevo dire di più: “Gli auguri per un felice nuovo anno!”. Mi guardò con quegli occhietti maliziosi e mi rispose sottovoce, per sottintendere che la cosa era tra noi e basta: “Un anno felice? Auguramelo intero”. E se ne andò con quei suoi passetti. Lo spero: a presto!».
C’è un simpatico enigmista della provincia di Pesaro che dall’inizio dell’anno mi ha già gratificato di 32 messaggi, inclusi un «Befanagramma», 11 «Prodianagrammi» («Rompo i ... a nord», come anagramma di Romano Prodi, sono sicuro che piacerà molto a Bossi) e tre distinti invii per il Festival di Sanremo.
E via di questo passo. Tu che fai? Non gli rispondi? Non puoi. Ma intanto le ore trascorse davanti al monitor del computer aumentano, gli occhi s’arrossano, l’encefalo annaspa nei labirinti del multitasking (in informatica, chiamasi così il sistema operativo che permette di eseguire più programmi contemporaneamente: per capirci, mentre sto scrivendo questo articolo, mi tocca anche rispondere ai messaggi).
Mi sono persuaso che l’e-mail è la più spudorata ladra dell’unico bene, il bene supremo, di cui un individuo possa disporre: il proprio tempo. T’illude di fartene guadagnare moltissimo ma subito te lo ruba con interessi da usura. Di un’altra cosa mi sono persuaso: della grande solitudine in cui annaspano gli uomini del terzo millennio. Chi li sta più ad ascoltare? È una sindrome che il mio amico Paolo Landi ha ben descritto in un illuminante pamphlet, Impigliati nella rete (Bompiani): «Sono connesso. Ho il telefonino acceso, il mio indirizzo di posta elettronica funziona. Ma non mi chiama e non mi scrive nessuno. Quindi non sono nessuno».
Perciò voi continuate a scrivermi, mi raccomando.
Stefano Lorenzetto
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