Alberoni resta in sella alla Scuola

Michele Anselmi

da Roma

Diabolico Alberoni. Da mesi i sindacati, Rifondazione comunista e qualche cineasta firmaiolo chiedono al ministro Rutelli di intervenire drasticamente sul Centro sperimentale di cinematografia per rimuoverne la dirigenza e commissariarlo. Prove a carico? La scuola, una delle più gloriose al mondo (nacque nel 1935), avrebbe «subìto una progressiva perdita di prestigio e un costante isolamento culturale». Sicché, essendo stato nominato nel 2002 dall'allora ministro Urbani, il noto sociologo dovrebbe fare le valigie, per logica di spoil-system. Solo che Rutelli non pare intenzionato a calcare la mano: 1) perché l'attuale cda, rinnovato nel 2004, scade nel giugno 2008; 2) perché non sono emersi segnali di dissesto finanziario o mala gestione; 3) perché terremotare l'istituzione a pochi giorni dall'apertura dell'anno scolastico (gennaio-dicembre) significherebbe peggiorare le cose. Dunque, ricevendo i giornalisti alla sala Trevi per prendersi la rivincita, Alberoni ha avuto facile gioco nello smussare i toni, respingere come «notizie fantasiose» le contestazioni e ringraziare tutti: «I sindacati, i dipendenti, i professori, gli allievi», specialmente «il ministro Rutelli», subito attivatosi per far arrivare a via Tuscolana i soldi necessari agli stipendi. Di più, tanto per essere chiaro: «Il mio mandato scade tra un anno e mezzo. Se vogliono mandarmi via prima, non lo so. Ma so che il ministro è d'accordo con le mie linee guida. “Ti prego, vai avanti”, mi ha detto a Venezia, e così io farò».
Non altrettanto idilliaco è il rapporto con l'ex ministro Tremonti. Colpa della Finanziaria del 2005, che tagliò un milione di euro agli undici e mezzo destinati al Csc. «Un taglio brutale, dal giorno alla notte, senza avvertirci. Con lui esiste un fatto personale, così non si fa», accusa Alberoni, oggi tornato ottimista. «Le cose vanno a gonfie vele, abbiamo tirato la cinghia, fatto economie, basta il reintegro di quel milione per lavorare tranquilli».
In effetti, benché la riduzione di alcune attività didattiche e culturali abbia fatto rumore sui giornali, la situazione non appare drammatica come la dipingono Liberazione o l'Unità. La macchina s'è rimessa in moto, le sedi distaccate di Milano (fiction & impresa) e Torino (animazione) sono pagate dalle rispettive Regioni, gli stessi sindacati sembrano decisi ad abbassare i toni. Perché il vero problema, a sollevarlo davvero, si chiama personale. Sono ben 153, infatti, di cui 137 a tempo indeterminato, i dipendenti del Csc: troppi, per una cifra annua che si aggira attorno ai sei milioni di euro. L'impennata risale al triennio 2000-2002, sotto la gestione Micciché, quando il Centro, ribattezzato Scuola nazionale di cinema, triplicò l'organico, con ovvie ricadute sul bilancio.

Ciò non impedisce ad Alberoni di plaudire «all'altissima produttività» del Centro, sia sul versante della didattica (246 gli allievi) sia su quello della conservazione dei film. E anche di sorridere su un lapsus che gli attirò molte ironie addosso: quando a Report definì un suo consigliere, Giorgio Tino, un gran «cinofilo», invece che cinefilo.

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