Su Salvini si rischia la "togocrazia"

Il caso di Salvini è da manuale. È stato massacrato mediaticamente e giudiziariamente per aver impedito uno sbarco che poteva (e che doveva) essere impedito

Su Salvini si rischia la "togocrazia"
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Caro Direttore Feltri,
ho seguito con attenzione la vicenda giudiziaria legata al caso Open Arms, che vede coinvolto Matteo Salvini, e confesso di essere rimasto allibito nel sapere che la Procura ha deciso di impugnare la sentenza di assoluzione, ricorrendo addirittura in Cassazione, saltando quindi il normale passaggio in Appello. Mi chiedo: è giustizia o è accanimento? È normale voler ribaltare a ogni costo una sentenza che ha assolto con formula piena un ex ministro per aver semplicemente fatto il suo dovere? Lei che idea si è fatto, direttore?

Andrea Marinoni

Caro Andrea,
la tua domanda è semplice, ma ciò che solleva è gravissimo. Non solo è vero che la sentenza di assoluzione di Matteo Salvini nel processo Open Arms è stata impugnata dalla Procura di Palermo, ma è stato fatto con una modalità eccezionale, il cosiddetto ricorso per saltum, ovvero si è deciso di scavalcare il giudizio d'appello e correre direttamente alla Cassazione per un giudizio immediato.

Una forzatura legittima, certo, ma dal sapore inquietante. Perché, vedi, non siamo di fronte a un banale ricorso. Qui c'è il tentativo evidente e sfacciato di ribaltare ad ogni costo un verdetto di assoluzione piena, sancito dopo un lungo processo nel quale è stato accertato che il fatto non sussiste. Non che è «in dubbio», o che «non è dimostrabile»: il fatto non esiste proprio. Ma niente, ai persecutori non basta. Vogliono la condanna. Pretendono il mostro. È vero, le inchieste riguardano anche la sinistra: basti pensare al sindaco di Milano, Beppe Sala, attualmente indagato. Ma, guarda caso, quando le toghe si muovono contro un esponente di sinistra, scatta subito l'atteggiamento garantista: «Si vedrà», «non c'è nulla di certo», «ha la nostra fiducia». Nessuno che chieda le dimissioni. Nessuno che s'indigni. Quando, invece, si tratta di un uomo di destra, magari di un ministro che ha avuto l'ardire di difendere i confini dello Stato, che, lo ricordo, è una funzione costituzionale, allora parte la guerra mediatica, politica e giudiziaria.

Il caso di Salvini è da manuale. È stato massacrato mediaticamente e giudiziariamente per aver impedito uno sbarco che poteva (e che doveva) essere impedito, nessun delitto egli ha posto in essere.

Tuttavia, ne è seguito un processo lungo, estenuante, che si è concluso con un'assoluzione limpida. Ma non basta. Non va bene. La magistratura ha deciso che non può finire così, avrebbe voluto un altro finale, un altro epilogo, e dunque ha impugnato la sentenza. Cioè: la magistratura accusa la magistratura di aver sbagliato. È come se un chirurgo, dopo un intervento riuscito, venisse denunciato da un collega perché «non può essere che il paziente stia bene». Siamo al ridicolo. Questo non è diritto. È ideologia con la toga addosso. È persecuzione, caro Andrea. E lo proclamo con piena consapevolezza. Abbiamo già visto questo film. Berlusconi lo ha vissuto sulla sua pelle. Trenta processi, vent'anni di fango, intercettazioni, insinuazioni. Sempre lui. Sempre e solo lui. Perché era di destra, perché era popolare, perché aveva vinto. Ora tocca a Salvini. Che è colpevole non di un reato, ma di avere consenso e di avere esercitato un dovere e una prerogativa dello Stato in qualità di ministro. Colpevole altresì di essere stato scelto dagli italiani per fare ciò che ha fatto: proteggere i confini.

Se passa il principio per cui è sufficiente un magistrato motivato per ribaltare la volontà popolare, allora non siamo più in democrazia. Siamo in togocrazia. E le urne diventano inutili. Concludo: Meloni ha ragione quando afferma che le sentenze vanno rispettate, anche quelle che assolvono, e che lo Stato ha il diritto e il dovere di salvaguardare i confini.

E ha ragione anche nel caso di Sala: non deve dimettersi, a meno che non si senta più in grado di governare.

Perché non è l'indagine che conta, ma il principio. E il principio è uno: o la legge è uguale per tutti, oppure è un'arma selettiva nelle mani di chi odia chi vince.

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