Albertazzi, dica la verità: «Non ha ancora finito di stupirci?».
«Perché, il verbo stupire non ha più diritto di cittadinanza?»
Non è questo il problema, ma da quando, il giorno dopo le sue nozze con Pia Tolomei, nel Sogno di una notte di mezza estate, si rivolgeva nelle vesti di Puck a Shakespeare appena intravisto in platea, dal grande Giorgio ci si aspetta di tutto. Sarà d’accordo, mi auguro.
«Come potrei smentirla? Io che ho avuto il piacere, nel corso di una seduta spiritica, di colloquiare col suo fantasma, ogni sera nel mio camerino dialogo con Picasso. Il quale, se ci tiene a saperlo, mi ha dato il permesso di apparire nudo nello spettacolo che gli ho dedicato». Questo nuovo atto di fede nel soprannaturale si intitola Cercando Picasso, in programma al Teatro Strehler di Milano dal 28 febbraio all’11 marzo.
Ma è proprio vero che in scena la si vede senza veli come Salomé o, meglio ancora, come l’equivalente maschile della «Maja desnuda»?
«È vero e al tempo stesso non è vero. Chi può tracciare la vera linea di demarcazione tra verità e menzogna?».
Sarà, ma c’è chi afferma che alla vigilia del novantesimo anno lei, come il grande Pablo, ha conservato un’invidiabile freschezza fisica. Vero o falso?
«Se lo dice lei, come faccio a smentirla? Da parte mia le posso solo assicurare che, come un vecchio Casanova, sbuco da un letto a torso nudo e, ipnotizzato dalle luci intermittenti della ribalta, mi aggiro come un lemure sbucato dall’inconscio a sollecitare l’attenzione delle spettatrici».
Tutto qui? Scusi, ma mi pare un po’ poco.
«Come osa mettere in dubbio la mia buona fede? Non ha ancora capito che Albertazzi è un jolly che, a seconda della disposizione delle carte che lo coprono, lo attorniano e poi lo scoprono può annunciare la palingenesi dell’umanità o la sua scomparsa nell’abisso del tempo?».
Che bella immagine, ne farò tesoro. Ma vuole dirmi finalmente cosa vedremo in Cercando Picasso?
«Intanto devo premettere che, per la prima volta, sono protagonista di uno spettacolo assolutamente privo di un copione vero e proprio. Dato che...».
Che cosa?
«È vero che io recito brani desunti dal capolavoro drammatico del grande Pablo, ovvero Il desiderio preso per la coda ma è anche vero che quel testo surreale e spiritoso come pochi non allinea personaggi ma situazioni dello spirito e caratteristiche del corpo».
Può scendere nei particolari?
«Accanto a me, ma solo come suoni che vengono da un altro tempo e da un altro spazio, ci sono personificazioni astratte che si chiamano Angoscia Grassa, Angoscia Magra e persino La Torta che solleticano il mio amor proprio».
Sarebbe a dire?
«Che quelle voci astrali da me evocate che corrispondono alle creature bellissime e affascinanti da me incontrate nel corso degli anni, da Franca Nuti a Elisabetta Pozzi per non parlare di Piera Degli Esposti, sono solo dei segnali sonori, incrostazioni lunari e non immagini in movimento».
Sarà. Ma cosa mi dice delle ballerine della Martha Graham Dance Company che il regista Antonio Calenda ha invitato a farle corona più come fate che come vittime del suo vulcanico temperamento di seduttore?
«Io e Calenda, il regista che mi ha più assecondato in quest’ ultimo percorso creativo, abbiamo compreso che di Picasso non si deve sceneggiare la biografia, a meno che non si voglia cadere volutamente nel ridicolo. Ma seguirlo nei suoi impulsi contraddittorii».
Ossia?
«Non potendo rappresentare sulla scena la pittura, abbiamo giocato sul suo contrario: le immagini che scaturivano dal suo cervello come i fumi e i profumi sprigionatisi dal vaso di Pandora. Questa è, per ora, l’ultima scommessa della mia vita».
E la prossima?
«Sto pensando a un nuovo Re Lear con Michele Placido nel ruolo del tragico monarca ed io nel ruolo del Pazzo, il suo eccentrico alter ego. L’ultima volta l’ho recitato nel ’54 accanto a Renzo Ricci ma ero un canarino implume ed oggi posso far di meglio».
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