Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, è daccordo con la distinzione fatta dal sindaco Gianni Alemanno tra fascismo e leggi razziali?
«Assolutamente no. Non esiste un fascismo buono e uno cattivo, sono sorpreso da questa tesi. Ma ho la sensazione che la vicenda sia montata più del dovuto. Ho parlato con il sindaco e non credo che fosse sua intenzione dare un giudizio così netto. Resta il fatto che su questi temi non ci possono essere equivoci».
E la riabilitazione di Salò fatta dal ministro La Russa?
«Già, proprio quando sembrava che una polemica rientrasse se ne è aperta unaltra. Alemanno e La Russa, due cari amici entrambi. Ma ripeto: su queste cose non si fanno sconti a nessuno».
Che cosa significa?
«Chiunque provi a riabilitare la Repubblica di Salò ci trova su fronti contrapposti. La Rsi collaborò alla deportazione degli ebrei, e lo fece egregiamente. Lo dico per esperienza familiare, mia nonna fu presa da ragazzotti repubblichini nel convento di clausura a Firenze dove aveva trovato rifugio».
Lei dunque prende le distanze da Alemanno e La Russa?
«Ho conosciuto La Russa allIsrael Day promosso da Giuliano Ferrara, so che è amico di Israele. E comunque sono due persone nate dopo il fascismo, che non hanno vissuto quegli anni e non hanno colpe di quel periodo. Essi hanno aderito a un partito che però a Fiuggi ha compiuto una svolta importante. Avevamo colto un chiaro spartiacque e ci sembrava che la linea tracciata da Gianfranco Fini fosse condivisa. Se le cose sono cambiate, devono dirlo loro».
Secondo lei, sono cambiate?
«La svolta di Fini credo abbia definitivamente consegnato al Paese una destra europea che condivide una serie di valori tra cui lantifascismo. Su questo non possono sussistere ambiguità ed è necessario un chiarimento che sono certo arriverà».
Lei ha detto che bisogna sviluppare questa polemica in senso positivo. Che cosa intende?
«Nel discorso di Alemanno cerano punti importanti: ha detto in modo inequivocabile che qualcuno combatté per i valori della libertà e altri a fianco di chi occupava il Paese. È importante approfondire questa riflessione comune: non lo chiediamo come professori in cattedra. Non ci sentiamo fuori dalle parti, cerchiamo di uscire insieme dalle polemiche individuando i valori da condividere. Certo, lantifascismo è parte della mia storia cui non intendo rinunciare».
Conferma il viaggio di novembre ad Auschwitz con Alemanno?
«A maggior ragione. Non è una visita che facciamo per il sindaco o per i sopravvissuti, ma per i ragazzi, oggi più che mai perché ci stanno lasciando i protagonisti di quegli anni, vittime e carnefici. I viaggi della memoria e il museo della Shoah fanno parte di un progetto educativo chiaro, sono strumenti insostituibili».
Ma lex sindaco Veltroni vuol lasciare il museo.
«Comprendo i suoi motivi e la sua rabbia, ma spero prevalga la voglia di trovare un terreno comune. Ne è stato lartefice, sarebbe unironia della sorte concluderlo senza di lui».
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