I cavalli, il dress code, le scarpe lucidate con lo champagne: i segreti dietro la "passione" della royal family

In questi giorni si stanno svolgendo le gare equestri del Royal Ascot, storico evento mondano che la royal family non perderebbe per nulla al mondo. Tutto quello che non sai

I cavalli, il dress code, le scarpe lucidate con lo champagne: i segreti dietro la "passione" della royal family

La royal family britannica ha sempre avuto due grandi amori, quello per i cani e quello per i cavalli. La predilezione per questi ultimi, in particolare, si è trasformata nell’imperdibile Royal Ascot. Un appuntamento pubblico, mondano, con una storia e delle tradizioni secolari che attirano e affascinano non solo gli appassionati da tutto il mondo di questi splendidi animali, ma anche i curiosi e gli amanti della moda. Il Royal Ascot, infatti, è anche una specie di passerella per i look più eleganti ed eccentrici. Un modo per farsi notare e ricordare. Per capire veramente il significato di questo evento dobbiamo prima ricordare il legame storico e inscindibile tra i suoi protagonisti: i cavalli e la royal family.

Una passione “attraverso i secoli”

Il Royal Ascot non è una semplice gara di cavalli. È la concretizzazione della profonda connessione tra i reali britannici e questi animali che possiamo definire maestosi. Anzi, forse proprio il portamento elegante, regale appunto, dei cavalli potrebbe aver contribuito alla nascita e al rafforzamento di questo legame. In proposito l’Express ha giustamente scritto: “Senza il patronato dei Re d’Inghilterra attraverso i secoli con buona probabilità non avremmo avuto una gara di cavalli regolata e organizzata, o almeno non allo stesso livello di quella che abbiamo oggi”. L’amore dei reali inglesi per i cavalli, infatti, risalirebbe addirittura al Medioevo, quando i monarchi, ha ricordato ancora l’Express, si dilettavano con le “corse di cavalli”. Questo passatempo divenne un evento formale sotto il regno di Enrico VIII (in carica dal 1509 al 1547). Sembra, infatti, che il Re fosse esperto di dressage, ovvero una competizione sportiva di addestramento in cui il cavaliere fa eseguire al cavallo delle figure, degli esercizi. Inoltre Enrico VIII fondò delle scuderie reali per l’allevamento e una scuderia privata a Greenwich con circa 200 cavalli. Proibì l’esportazione di cavalli dall’Inghilterra, ma ne favorì l’importazione.

Una sorte incerta

Con Giacomo I (1603-1625) la cittadina di Newmarket, nel Suffolk, divenne il fulcro delle corse di cavalli. Ancora oggi ospita un famoso ippodromo e svolge un ruolo di primo piano nel mondo dell’ippica. La Guerra Civile Inglese (1642-1651) segnò una battuta d’arresto nell’ascesa degli sport e delle attività equestri. Nel 1654 il Lord Protettore Oliver Cromwell (1599-1658) vietò le gare di cavalli, poiché erano il simbolo della monarchia e, come tali, potevano rappresentare una minaccia per il nuovo governo di carattere repubblicano, il Commonwealth d’Inghilterra. Il divieto fu, per fortuna, una parentesi. Grazie a Carlo II (in carica dal 1660 al 1685) per le gare equestri si aprì una nuova fase di splendore, anche perché a Sua Maestà piaceva molto gareggiare, più che guardare le competizioni. Nel 1671 il Re vinse addirittura il Newmarket Town Plate, importante competizione nata nel 1666 e organizzata ancora oggi. William III (in carica dal 1689 al 1702) fu il primo sovrano ad assumere un allenatore e direttore sportivo per le gare di cavalli, ovvero Tregonwell Frampton, che ottenne l’incarico di “Keeper of the Running Horses”.

Re vincitori

Nel 1788, ha spiegato ancora l’Express, il futuro Giorgio IV (1820-1830) divenne il primo proprietario reale di cavalli a vincere il Derby di Epsom. Edoardo VII (1901-1910) vinse tre derby, nel 1896, nel 1900 (in entrambi i casi era ancora principe di Galles) e nel 1909 come Re d’Inghilterra. Invece il cavallo di Giorgio V (1910-1936) venne coinvolto in un terribile incidente: durante il Derby di Epsom del 1913 la suffragetta Emily Davison si lanciò sul campo dove si stava svolgendo la gara e tentò di afferrare le redini del cavallo. L’animale, il fantino caddero, travolgendo la suffragetta, che morì a causa della gravità delle ferite riportate.

Da Elisabetta a Zara

La passione della regina Elisabetta per i cavalli, ha spiegato il People, nacque quando aveva solo quattro anni e suo nonno, Giorgio V, le regalò un pony Shetland di nome Peggy. Come ha ricordato l’Express, i cavalli della sovrana hanno vinto 1800 gare. Una delle più importanti fu l’Ascot Gold Cup del 2013, conquistato grazie al cavallo Aureole, allevato da Giorgio VI ed ereditato da Elisabetta II. Quest’ultima divenne il primo sovrano regnante a vincere la gara in duecento anni di Storia. Stando al New York Post, inoltre, la Regina avrebbe allevato più di 100 cavalli nell’arco della sua vita. Non solo: dal 1988, ha riportato Business Insider, i cavalli di Elisabetta hanno partecipato a 3441 competizioni, vincendone 566 nel Regno Unito. Ciò significa premi in denaro che sono stati stimati in 8,7 milioni di sterline. Anche Carlo III, William e Harry hanno ereditato l’amore per i cavalli e sono esperti giocatore di polo. Tuttavia a distinguersi per talento nella royal family sono state la principessa Anna, sorella del Re e sua figlia Zara Tindall: la prima partecipò ai Giochi Olimpici del 1976 in sella a Goodwill, di proprietà della monarca, la seconda vinse la medaglia d’argento alle Olimpiadi di Londra 2012.

La storia del Royal Ascot

La regina Elisabetta amava aprire la competizione del Royal Ascot, che per tradizione si tiene ogni terza settimana di giugno. La prima gara a cui partecipò, però, ebbe luogo il 21 maggio 1945, dopo la guerra. All’epoca Elisabetta era ancora principessa. Il sito dedicato ad Ascot ha ricordato che fu la regina Anna Stuart (sovrana di Inghilterra, Scozia e Irlanda dal 1702 al 1707 e del Regno di Gran Bretagna dal 1707 al 1714) ad avere l’idea di questo evento diventato di culto in tutto il mondo. Stando a quanto riferito dal People, dopo essere giunta a cavallo dal Castello di Windsor fino al campo dove poi sarebbe stato edificato l’ippodromo, Anna avrebbe detto: “Questo sarebbe il luogo giusto per la gara”.

La parata reale

Il primo Royal Ascot si tenne l’11 agosto 1711 e in palio vi era un premio da 100 ghinee. Da allora la gara ha subìto molte trasformazioni, anche dal punto di vista economico. Pensiamo che nel 2023, come ha sottolineato il sito The Royal Observer, la vincita superò i 7.3 milioni di sterline. Nel 1825 Giorgio IV introdusse una consuetudine rispettata ancora oggi, ovvero l’arrivo della royal family su una carrozza trainata da cavalli. Questa piccola parata simboleggia proprio il legame dei Windsor con il Royal Ascot e, più in generale, è un emblema del potere e delle radici della monarchia in Gran Bretagna. La processione avviene all’inizio di ognuno dei cinque giorni di gara alle 14 in punto.

Greencoats

Nel 1744 venne introdotta al Royal Ascot la figura dei “Greencoats” (o “Yeoman Prickers”), cioè la guardia d’onore del sovrano. Il nome viene dal colore verde della divisa e a tal proposito c’è un simpatico aneddoto raccontato dal sito del Royal Ascot: secondo la leggenda le prime uniformi, che erano di velluto, sarebbero state ricavate dai tendaggi del Castello di Windsor. Dall’Ottocento il compito dei Greencoats è quello di controllare e guidare gli ospiti. Oggi il ruolo è molto più simile a quello di addetto all’assistenza del pubblico, una sorta di steward.

La loggia reale

Il Royal Ascot ha una tribuna riservata alla royal family dal 1790, ma nel 1822 Giorgio IV ideò una nuova loggia reale (Royal Enclosure) disposta su due piani. Nel 1845, ha spiegato ancora il sito, l’area di fronte alla tribuna venne recintata per motivi di sicurezza. La regina Vittoria (1837-1901) e il principe Albert, infatti, attendevano l’arrivo dello zar Nicola I (1825-1855), che non aveva mai preso parte all’evento prima di allora. In passato e anche oggi per assistere alla gara dalla Royal Enclosure è necessario l’invito.

“Black Ascot”

Re Edoardo VII morì poco prima dell’inizio del Royal Ascot, nel 1910. La competizione si svolse ugualmente, ma gli spettatori vestirono a lutto. Per questo motivo l'edizione di quell'anno passò alla Storia come "Black Ascot". Il Mirror, citato dal sito della gara, scrisse: “Gli occupanti della loggia reale erano vestiti di nero e le signore portavano fiori bianchi e fili di perle”.

“Iron Stand”

Tra Ottocento e Novecento le regole riguardanti l’ingresso del pubblico erano molto rigide. Per esempio agli uomini divorziati era riservato lo spazio dell’Iron Stand, costruito nel 1859, ha riportato il sito Ascot.com, ma era loro impedito l’accesso al Royal Enclosure. La situazione rimase inalterata fino al 1955. Alle donne, invece, era vietato l’accesso all’Iron Stand. Oggi, fortunatamente, è tutto cambiato e il Royal Ascot è diventato il punto d’incontro di persone di diverse nazionalità, culture e ceti sociali.

Lucidare le scarpe con lo champagne

Le regole d’abbigliamento per prendere parte all’evento, ha rammentato Ascot.com, nacquero all’inizio dell’Ottocento, quando Beau Brummel (ovvero George Bryan Brummel, 1778-1840), considerato uno dei dandy più influenti ed eccentrici di quegli anni, iniziò a dettare le regole della moda maschile per il Royal Ascot. Secondo Brummel gli uomini dovevano indossare soprabiti neri più aderenti e cravatta bianca. Inoltre avrebbe consigliato ai signori di lucidare le scarpe con lo champagne. Gli uomini nel Royal Enclosure dovevano portare cappelli a cilindro di seta, che venivano creati dai cappellai. Oggi, però, quel tipo di lavorazione non è più in uso (e probabilmente costerebbe molto di più sia per quanto riguarda gli strumenti impiegati, sia per quel che concerne la realizzazione artigianale). Ascot.com fa riferimento alla possibilità di trovare dei cappelli vintage, ma anche in quel caso il prezzo non è affatto contenuto.

Dress code

Ai giorni nostri, specifica la sezione “What to Wear” dell’Ascot.com, gli ospiti del Royal Enclosure devono indossare completi grigi, neri o blu da cerimonia, il cilindro nero o grigio, scarpe nere eleganti con calzini che coprano almeno la caviglia. Per le donne sono obbligatori cappelli o copricapo con un diametro alla base di almeno 10 centimetri e abiti con le spalle e l’ombelico coperti. A tal proposito le spalline devono avere una larghezza minima di 2,5 centimetri. Le gonne devono arrivare almeno al ginocchio. Le regole d’abbigliamento variano a seconda del settore. In generale diventano meno rigide man mano che ci allontaniamo dal Royal Enclosure, ma sono sempre vietati leggins, sneakers, shorts e jeans. In ogni caso il dress code va rispettato alla lettera. Non sono ammesse eccezioni.

Look iconici

L’elenco dei migliori look del Royal Ascot è molto lungo. Kate Middleton, però, si è sempre distinta per eleganza e raffinatezza. Impossibile dimenticare l’abito azzurro del brand Elie Saab che sfoggiò il 18 giugno 2019, primo giorno del Royal Ascot. Il vestito, riportò il Daily Mail, costerebbe 1275 sterline. La principessa lo riciclò per il Garden Party a Buckingham Palace il 9 maggio 2023. Al Royal Ascot 2022, poi, la futura Regina indossò un abito di Alessandra Rich a pois, in stile My Fair Lady. Vogue.com sottolineò un presunto omaggio a Diana: la defunta principessa, infatti, sfoggiò un capo molto simile, firmato Victor Edelstein, al Royal Ascot 1988.

A proposito di Kate

Tutti aspettavano Kate Middleton lo scorso 18 giugno, per il secondo giorno del Royal Ascot, ha riferito il People. Il suo nome era già stato inserito nella lista degli ospiti reali. All’ultimo momento, però, la principessa ha dovuto rinunciare. Il magazine ha scritto in proposito: “[Kate] è dispiaciuta di non poter essere presente, ma quanti le sono vicino precisano che deve ancora trovare il giusto equilibrio mentre si impegna per tornare ai doveri pubblici dopo il trattamento contro il cancro”. L’assenza ha scatenato le polemiche sulle sue condizioni di salute. In realtà gli insider e la stessa principessa hanno spiegato diverse volte che la ripresa del lavoro sarebbe stata graduale.

Il cancro di Kate è in remissione, ma la strada per la guarigione è ancora lunga. La speranza è che, almeno stavolta, si evitino inutili allarmismi (visto che non ci sono sufficienti informazioni in merito alla questione) e fake news.

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